Il Lucca Film Festival e Europa Cinema è ormai entrato nel vivo e alla kermesse arriva uno degli ospiti più attesi, il grandissimo regista statunitense Oliver Stone. L’autore di capolavori come Platoon, Nato il 4 luglio, Wall Street e Natural Born Killers (qui la nostra recensione) si è dimostrato particolarmente generoso nell’offrirci uno spaccato della sua arte, del suo pensiero e dell’America contemporanea in generale.
Ha sempre fatto un cinema molto politico, cosa che in Italia fatichiamo a fare. C’è qualche argomento di cui in America avrebbe difficoltà a parlare nei suoi film?
Molti dei miei film affrontano tematiche politiche, sì, ma sono prima di tutto film sulle persone. La storia è sempre il cuore dei miei lavori, e ogni storia è una storia di potere, indipendentemente che parli del ‘potere’ in senso politico o meno. È questa la cosa interessante: capire i turbamenti che dovranno attraversare i tuoi personaggi e quale sarà l’arco narrativo, non la denuncia politica da sola. Magari il cuore della storia può essere il conflitto che si crea attorno al potere e la cosa interessante è capire quello che faranno i tuoi personaggi per ottenere il controllo.
In America si può parlare piuttosto liberamente del potere, il vero problema è la moralità bigotta. Ad esempio negli USA non potrei mai fare un film sull’ateismo, mentre in Italia avete avuto grandi artisti che hanno potuto sfidare la morale, come Pasolini o Bertolucci.
Non so perché in Italia si facciano pochi film politici. Di certo nel vostro paese la televisione ha un peso molto importante, ma è anche politicamente molto più libera di quanto non sia in America. Il problema probabilmente rimangono le pressioni commerciali; quelle sono innegabili e hanno più a che fare con un’autocensura che con una censura dall’alto.
Spesso nelle sue sceneggiature ci sono riferimenti molto precisi alla cronaca giudiziaria. Ad esempio, grazie a un’inchiesta giornalistica partita da documenti desecretati, si è recentemente scoperto che un ente romano che in JFK – Un caso ancora aperto veniva ricollegato alla CIA era effettivamente collegato anche a Gladio e alla P2. Sapeva di questi sviluppi?
Ci sono realtà che potrebbero sembrare uscite direttamente da un film ma purtroppo non lo sono affatto. Sono moltissimi gli esempi che potrei fare, ed è una tematica che ho toccato spesso anche nei miei lavori. Il fascismo e la strategia della tensione in chiave storica sono realtà sempre più attuali; basti pensare ad alcuni dei gruppi che sostengono Donald Trump. Guardate la tensione crescente con la Russia: questa escalation preoccupante viene salutata con favore da gruppi di potere legati all’estrema destra in molte parti del mondo. A prescindere dalla collocazione politica, il dato più preoccupante è quanto questi gruppi di potere si diano da fare per perpetrare i propri interessi a danno dei cittadini.
La presidenza Trump, tra punti programmatici come il muro al confine col Messico e lo smantellamento dell’Obamacare, si sta contraddistinguendo per una serie di scelte che stanno facendo molto discutere. Qual è la sua opinione?
Trump sta andando nella direzione sbagliata, completamente. Anche su questioni fondamentali come quella ambientale, oltre a quelle da lei citate. È un momento molto triste ma possiamo sopravvivere, anche grazie al sistema politico di bilanciamento e controllo che terrà a freno i suoi impulsi distruttivi. Trump mi ha sorpreso molto anche in politica estera, si è dimostrato tanto duro e ignorante quanto lo sarebbe stata la Clinton. È il caso che Trump si faccia al più presto una cultura e impari qualcosa di politica estera; non ha idea di come funzionino i rapporti di potere interni, figuriamoci quelli internazionali. Ma tranquilli, gli Stati Uniti non vengono gestiti da un presidente ma da una burocrazia e un apparato che non cambia a ogni elezione presidenziale. Poi, certo, c’è anche uno stato ombra fatto di industria militare, finanza e giganti della tecnologia che porta avanti i propri interessi a prescindere da tutto. Comunque mai riporre troppa fiducia in un presidente; prendete Obama: all’inizio sembrava potesse essere un leader pacifico, ma poi dapprima ha iniziato a sostenere la guerra fredda e poi la guerra vera e propria, quella interventista. Vedremo cosa farà Trump.
Qualche mese fa ha parlato ai media russi di un suo prossimo documentario su Vladimir Putin. Ci può anticipare qualcosa?
Sto concludendo un documentario che vorrei riuscire a pubblicare all’inizio dell’anno prossimo, filmato a Mosca per un anno e mezzo. Si intitolerà Conversations with Putin. È la prima volta che tutti potranno ascoltare Putin che parla in inglese, non mediato da un interprete, e questo consentirà a tutti di farsi una propria idea non mediata sul suo pensiero. È uno degli uomini più potenti del mondo, ma a causa della barriera linguistica di lui abbiamo una visione molto parziale. Con il mio prossimo film voglio raccontare un pezzo di mondo che gli americani sostanzialmente non conoscono, pieno di contraddizioni ma con molto da dire. È un lavoro cui tengo molto.
In Snowden ci ha raccontato l’importanza per i cittadini di essere a conoscenza di quello che fa un governo. Cosa pensa accadrebbe se, come molti auspicano recentemente, venisse proposto l’inserimento del diritto di accesso all’informazione tra i diritti inalienabili dell’uomo?
Non è una prospettiva realistica. Gli stati uniti sono il regno dei segreti, e oggi ce ne sono più che mai: la questione di certo non cambia in meglio nel corso del tempo. Addirittura ci sono agenzie che non si parlano tra loro, ci sono impiegati statali che non sanno cosa stanno facendo i loro colleghi più vicini.
Comunque non credo che tutte le informazioni debbano essere rese pubbliche, alcune è giusto che rimangano private, pensiamo ad esempio alle negoziazioni politiche.
In questi anni stiamo cercando di creare un senso della storia anche attraverso i documenti che periodicamente vengono decassificati, ad esempio riguardo alla presidenza di George W. Bush, ma quello che riusciamo a sapere è solo la punta dell’iceberg. Si va anzi verso una sorveglianza sempre più onnipresente, capace di taggare singoli individui e spiarli nel dettaglio.
Cosa cambia tra il racconto di un eroe del passato e quello di un eroe contemporaneo?
Le faccio un esempio. In Alexander cerco di catturare il conflitto interiore che si va formando nel protagonista mentre definisce se stesso, mentre in Snowden la questione è diversa: il protagonista è ovviamente molto meno interessante, un uomo solitario che passava giornate davanti al computer, eppure si può raccontare dell’impatto fondamentale che ha avuto sulla vita di noi tutti. Sono andato ben nove volte a intervistarlo a Mosca, e anche se molte delle cose di cui abbiamo parlato devono rimanere private, sono giunto alla conclusione che sia un vero eroe americano, che per il bene di tutti ha fatto un grandissimo sacrificio. Comunque sia, a prescindere dalla diversità delle storie, cerco di catturare il conflitto interiore e la tensione interiore.
A proposito di sceneggiature. Lei ha firmato grandissimi script, come quelli di Scarface e Fuga di mezzanotte, ma ha anche apposto il suo nome sullo script molto controverso di 8 milioni di modi per morire. Può dirci qualcosa a riguardo?
Una domanda interessante. 8 milioni di modi per morire era un film terribile, eppure sì, c’era il mio nome nei crediti. È stato un mio errore lasciare che vi rimanesse. Quando hanno iniziato a girare stavo lavorando su Salvador, e nel frattempo Hal Ashby stava morendo. Avrei dovuto togliere il mio nome ma non volevo offendere troppo chi aveva lavorato al film, soprattutto Ashby che passava un momento critico.
Una domanda a proposito di un suo collega regista. Cosa ne pensa del fatto che non sia stato concesso un salvacondotto per il ritorno negli USA a Roman Polanski, nonostante sia un ultraottantenne dagli indiscussi meriti artistici e con trascorsi drammatici alle spalle, dalla deportazione dei genitori nei campi di concentramento nazisti all’assassinio della moglie incinta da parte di Charles Manson?
Ammiro molto i film di Roman Polanski e lui come artista. Di certo però c’è da dire che è un uomo problematico, e molti grandissimi artisti tendono ad esserlo. L’America ha una moralità molto controversa, specialmente per quanto concerne il sesso. È questa concezione deviata della moralità a costituire un tabù che condiziona la serenità di giudizio, a prescindere dalla vicenda di Polanski, e così si condannano in modo molto netto e puritano alcune questioni ma poi c’è un’ipocrisia di base che ci porta spesso a prendere decisioni contraddittorie se non sbagliate. Non è un problema che riguarda solo Polanski, è l’essenza del nostro paese.