Il nuovo cinema rumeno non è solo tempi dilatati e camera fissa. Oltre al pluripremiato Cristian Mungiu (qui la nostra intervista) e all’altrettanto eccellente Cristi Puiu, in Romania esiste una settima arte intessuta di ritmo e movimento, cruda ma appassionante, e il portavoce principale ne è Cãlin Peter Netzer, già Orso d’Oro alla Berlinale con Il Caso Kerenes (Pozitia Copilului) nel 2013 e nel 2017 in concorso con il bellissimo Ana, Mon Amour – valso alla montatrice Dana Bunescu ha avuto l’Orso d’Argento come Eccezionale Contributo Artistico.
Ana, Mon Amour ci investe con i pensieri liberi, sconnessi nel tempo e nello spazio, di Toma (Mircea Postelnicu), che ricorda disordinatamente il proprio passato prossimo o remoto al suo psicanalista (l’Adrian Titieni protagonista di Un Padre, Una Figlia di Mungiu). Coprotagonista della quasi totalità dei flashback è Ana (Diana Cavallioti), il grande amore di Toma, una ragazza fragile e molto problematica che impareremo a conoscere nel corso della pellicola. È la loro storia d’amore il fulcro del film, e più in generale lo sono quelle dinamiche che possono crearsi in una coppia squilibrata, in cui i problemi di uno finiscono per rovinare la vita dell’altro che cerca amorevolmente di risolverli.
Quello di Netzer è un film senza mezzi termini, meraviglioso nella sua intensità e nella maestria di chi dirige il tutto da dietro la macchina da presa. Camera a mano, zoom, tagli frequentissimi (anche ogni due secondi), una Romania lontanissima dallo stereotipo ormai consunto di terra martoriata, molti dettagli e particolari, e poi una fotografia impeccabile e sempre funzionale.
Le solidissime interpretazioni dei due protagonisti, che devono render credibile la loro crescita nel corso degli anni che si alternano sullo schermo, sono supportate da un grandissimo lavoro di trucco e acconciature, che rende straordinariamente credibile la trasformazione della coppia dagli anni del liceo alla vita adulta (conseguimento tutt’altro che scontato). Non c’è da stupirsi che la tensione della coppia sia tanto credibile sullo schermo: pare che per avere una forte chimica sul set, prima delle riprese Netzer abbia costretto gli attori protagonisti a una lunga, sgradita e problematica convivenza di diverse settimane.
E poi la manifesta volontà di ritrarre la realtà senza censure, un linguaggio filmico che fa a meno dei convenzionali tagli richiesti dal visto censura e ci mostra la vita quotidiana nella sua esplicita integralità, da un rapporto sessuale vero con tanto di eiaculazione finale alla crudezza di una scena in cui Toma lava via le feci dalle gambe di Ana.
Infine, più di ogni altra cosa, uno script che non ci risparmia nulla, che ci porta a desiderare che tutto vada per il meglio ma al contempo di turba progressivamente con la disillusione che impariamo a leggere negli occhi del protagonista prima che un nuovo felice ricordo si guadagni lo schermo.
Ana, Mon Amour è un’opera tanto potente e sentita da suscitare nello spettatore smarrito un moto di sincera gratitudine verso Cãlin Peter Netzer per un lavoro tanto duro, dolce, complesso e stupefacente.