Già presentato al festival spagnolo di San Sebastian, è in concorso al Lucca Film Festival e Europa Cinema di quest’anno il lungometraggio El Invierno, film dell’argentino Emiliano Torres che per la prima volta in carriera si cimenta dietro la macchina da presa (Torres, sin dal 1996, ha lavorato come sceneggiatore e assistente alla regia in film argentini e internazionali, anche con registi come Marco Bechis ed Emanuele Crialese).
El Invierno è ambientato in uno sperduto ranch in Patagonia.
L’anziano capomastro di una “estancia”, Evans (Alejandro Sieveking), riceve un nuovo gruppo di lavoratori accorsi per partecipare alla stagione della tosatura. Tra questi spicca per tenacia Jara (Cristian Salguero): i proprietari del ranch infatti vedono in lui un possibile nuovo capomastro. L’incubo del vecchio Evans, alla fine della stagione, diventa improvvisamente realtà: dopo una vita di duro lavoro, viene licenziato per essere sostituito proprio da Jara. L’arrivo dell’inverno porterà uno sconvolgimento nella vita di entrambi, i quali dovranno trovare un modo per fronteggiare il cambiamento.
La tematica predominante in questo film è quella della ciclicità della vita, vista in un’ottica pessimistica.
Per capire questo film fino in fondo non possiamo non soffermarci sull’elemento più importante di El Invierno ovvero l’ambientazione: solo in Patagonia poteva essere girato questo lungometraggio, non da altre parti. Questa immensa prateria sterminata, con i suoi colori poco brillanti, è come se fosse un vero e proprio character per quanto influisce sull’atmosfera generale della pellicola. La durezza di quel particolare luogo, soprattutto in inverno, ci fa capire per quale motivo i nostri due protagonisti si comportano in modo spietato: è in atto una selvaggia (quasi primitiva) lotta per la sopravvivenza, in realtà non esistono vittime e carnefici ma vince solo chi è il più forte, fino al momento in cui un altro più forte prenderà il posto che gli compete (da questo punto di vista, il film non lascia speranza a nessun personaggio). Questi uomini, semplici e taciturni, vivono secondo le leggi della natura ed è bravo Torres a rappresentare, semplicemente con gli sguardi e le inquadrature fisse, le loro difficili vite (bravissimo anche nella scelta di casting, Sieveking e Salguero sono perfetti per il ruolo). La vera, grande pecca di El Invierno sta nella sceneggiatura, in particolare nella gestione del ritmo: Torres commette l’errore tipico di un cineasta alla sua opera prima ovvero quello di mettere troppa carne al fuoco; così facendo il rischio è quello di non dare al film la compattezza narrativa necessaria per poter essere ampiamente apprezzato. Il problema principale è che il regista avrebbe potuto raccontare la stessa storia con un cortometraggio o mediometraggio, mentre questo è un lungometraggio di 93 minuti dai tempi dilatatissimi che mette a dura prova l’attenzione degli spettatori. Il regista argentino inoltre si sofferma troppo sulla ricerca della bella inquadratura (in alcuni frangenti sterile e fine a sé stessa) e pone in secondo piano, cosa imperdonabile per uno sceneggiatore, un elemento fondamentale come la caratterizzazione dei personaggi, che qui in pratica non esiste (i protagonisti sono troppo bidimensionali, il pubblico non riesce mai ad empatizzare con loro).
Sicuramente Emiliano Torres ha del talento (essendo questo il suo primo film, alcune lacune sono perdonabili) e, se riuscirà in futuro ad imparare dagli errori commessi in El Invierno, potremmo avere di fronte un autore molto interessante.