Qui all’edizione 2017 del Lucca Film Festival e Europa Cinema prosegue la retrospettiva dedicata al tre volte premio Oscar Oliver Stone: questa volta parliamo della celebra pellicola del 1986 Platoon, film che ha regalato al cineasta newyorkese il successo mondiale e, tra le altre cose, figura nella prestigiosa lista dell’American Film Institute dei 100 migliori film statunitensi di tutti i tempi.
Platoon è un film di guerra che racconta la storia di un giovane soldato americano in Vietnam.
Chris Taylor (Charlie Sheen) parte come volontario per motivi ideologici: non trova giusto che a rischiare la vita per la patria siano solo gli uomini delle classe sociali più disagiate e appartenenti alle minoranze etniche (lui infatti è un ragazzo di buona famiglia che ha appena lasciato il college); ben presto però si troverà di fronte alle bestialità di cui sono vittime i militari, psicologicamente e fisicamente provati dalla droga e dalla violenza. All’interno del suo plotone c’è una grande rivalità tra il violento sergente maggiore Barnes (Tom Berenger) e il valoroso sergente Elias (Willem Dafoe): lo scontro tra i due prenderà pieghe sanguinose e questo costringerà Chris, che riuscirà a sfuggire miracolosamente all’attacco dei vietcong, a dover prendere una decisione traumatica.
Il film è ispirato alle reali esperienze vissute dal regista in quella guerra.
Vincitore di quattro Oscar (tra cui miglior film e miglior regia), quest’opera, assieme a Full Metal Jacket e Apocalypse Now, è probabilmente la pellicola più famosa sul Vietnam. Definire però Platoon “solo” un film di guerra è riduttivo: Stone infatti non si limita al racconto senza filtri delle atrocità compiute dagli americani nel conflitto più tragico della loro storia recente ma compie un’analisi sociologica prendendo un microcosmo, come quello di una divisione dell’esercito, trasformandolo nello specchio della società statunitense di quel periodo (da allora non molto è cambiato). E chi poteva mettere in scena una vicenda così controversa se non uno che la guerra in Vietnam l’ha fatta sul serio? Non tutti forse lo sanno ma Oliver Stone, prima di diventare l’apprezzato regista che conosciamo oggi, nel 1967 si arruolò proprio come volontario combattendo per un anno in prima linea (fu addirittura ferito due volte in battaglia). Il personaggio di Chris Taylor non è nient’altro che l’impersonificazione sul grande schermo del cineasta: i pensieri e le riflessioni che fa il nostro protagonista è ciò che in realtà pensa Stone sul Vietnam, quando un’intera generazione di americani perse di colpo la propria innocenza (emblematica la frase del film “non abbiamo combattuto contro il nemico; abbiamo combattuto contro noi stessi e il nemico era dentro di noi”); il regista poi ritornerà a parlare di quel conflitto in altre due pellicole, Nato il 4 Luglio e Tra Cielo e Terra (la cosiddetta Trilogia del Vietnam). La produzione di questo film non fu affatto facile: dopo il successo di Apocalypse Now e Il Cacciatore, i produttori erano scettici nel produrre un’altra pellicola sul Vietnam ma, dopo il primo Oscar vinto per la sceneggiatura di Fuga di Mezzanotte, il nome di Stone girava nei circoli che contavano e il progetto cominciò a prendere piede; il film venne girato nelle Filippine ma rischiò di saltare per gli sconvolgimenti politici causati dal dittatore Ferdinand Marcos ma alla fine i problemi vennero superati. Platoon, costato 6 milioni di dollari, registrò un grande successo al botteghino incassando la bellezza di 140 milioni di dollari, motivo che costrinse Stanley Kubrick a rinviare di un anno l’uscita di Full Metal Jacket. Nel cast, oltre che a Sheen, Dafoe e Berenger, figurano anche dei giovanissimi Johnny Depp e Forest Whitaker assieme a John C. McGinley (il mitico dottor Cox di Scrubs, attore feticcio di Stone con ben 6 film all’attivo col regista) mentre, per motivi diversi, rifiutarono di partecipare al progetto nomi importanti come Keanu Reeves e Kyle Maclachlan.
Pur non avendo Platoon lo stesso impatto nell’immaginario collettivo dei due capolavori di Kubrick e Coppola, si tratta pur sempre di una delle opere imprescindibili del regista americano più politico (assieme a Michael Moore) degli ultimi 40 anni; per gli amanti del genere (ma più in generale del cinema), il recupero di questo grande film è obbligatorio.