Oceania, l’acclamato film d’animazione Disney, è uscito in questi giorni sul mercato home video con una ricca edizione blu-ray. Approfittiamo della release per proporvi il resoconto del nostro incontro con i registi del film, Ron Clements e John Musker, e con la produttrice Osnat Shurer.
Perché avete scelto proprio questa parte del mondo per dare vita al vostro nuovo lavoro? E come vi siete posti nei confronti di questa cultura tanto diversa dalla vostra?
J.M: Cinque anni fa mi è venuta l’idea di ambientare un film nelle isole polinesiane del Pacifico, dove non ero mai stato, ma che mi affascinavano molto e dove volevo ambientare questo film. Avevo visto dei dipinti, avevo letto libri che parlavano di quelle isole, quindi ho cominciato a studiare la vita della gente polinesiana. Ho anche studiato la mitologia del posto e mi sono imbattuto nella leggenda di questo semidio, Maui, pieno di tatuaggi e che possedeva un amo da pesca magico grazie al quale portava a termine le sue imprese eroiche. Ho condiviso tutto questo con Ron, ne abbiamo parlato, dopodiché abbiamo presentato una versione semplificata della storia al produttore John Lassater. Sapevamo che gli sarebbe piaciuto, perché questo personaggio si prestava benissimo ad un film di animazione.
R.C.: Ma come è tipico di lui, John disse che bisognava scavare in profondità, cercare di saperne di più. Quindi ci siamo recati sul posto: isole Fiji, Samoa, Te Kuiti. Sono stata la nostra casa per un mese, e qui siamo venuti a conoscenza di questo mondo bellissimo e ancora primordiale.
O.S.: Ma è anche vero che i viaggi in questa parte del mondo ne abbiamo fatti diversi: ci si sono recati sia i nostri due registi che gli operatori. Siamo riusciti a stabilire un rapporto di fiducia con le popolazioni locali. Quindi durante i cinque anni di lavorazione sul film ogni tanto siamo tornati in queste zone.
R.C.: Parlando di quelle che sono state le fonti di ispirazione, abbiamo appreso molto circa la storia della navigazione, abbiamo imparato che questi popoli erano i più grandi navigatori che il mondo abbia mai avuto modo di vedere. Abbiamo imparato il loro profondo legame con l’oceano: per loro l’oceano è come se fosse vivo e avesse dei sentimenti. Così come anche il loro legame con la natura e con i loro antenati. Tutte queste cose sono state fonte d’ispirazione.
Come è nata la collaborazione con Mark Mancina, vista l’enorme importanza che hanno la musica e le canzoni all’interno dei vostri film?
J.M.: Quando ci siamo recati sull’isola, ovunque andassimo si sentiva musica. Erano canzoni di benvenuto, di saluto, oppure di addio. Quindi sin dall’inizio avevamo deciso che la musica sarebbe stata un punto fermo nel nostro film. Per questo abbiamo portato avanti un’accurata ricerca sui musicisti locali e abbiamo incontrato Opetaia Tavita Foa’i, il musicista che ha scritto parte della musica e che ha anche una sua band locale. Abbiamo coinvolto Mark Mancina per il suo grande talento: ne Il Re Leone riuscì a creare un ponte tra le musiche africane e lo sviluppo della storia raccontata tramite le canzoni di Elton John ed è proprio quello che volevamo per Oceania: un sinuoso incontro tra le meravigliose melodie locali e una narrazione in musica che fosse chiara per tutti. Sicuramente il tutto è stato reso ancora più magico dall’incontro con molti parolieri del posto, riuscendo a rendere armonioso il continuo passaggio tra le parole in lingua locale e quelle in inglese.
Come in tutti i film disney ci sono molte storie e molte metafore. Ad esempio quella del viaggio o quella della ricerca di sé. Sono tutte incarnate da Vaiana: cosa ha lei di diverso dalle altre eroine della Disney?
O.S.: Siamo molto orgogliosi dell’eredità Disney che abbiamo voluto portare avanti ulteriormente. Penso che quello di Vaiana sia un personaggio come non ce ne sono in effetti, perché è lei l’eroina del proprio viaggio, della propria storia. Ha una missione, quella di salvare il suo mondo e per questo non c’è neanche spazio per una storia d’amore. Questa è una storia che riguarda l’ascoltare la voce che abbiamo dentro di noi. Sì, è un tema ricorrente nei film Disney, ma spesso è il mondo esterno a cercare di definirci, di dirci chi siamo. Ma dentro di noi abbiamo una voce che possiamo seguire solo se ci fermiamo un attimo ad ascoltarla, e sicuramente Vaiana, in questo senso, è un personaggio molto moderno, anche se la storia è ambientata qualche millennio fa.
I tatuaggi di Maui sono molto importanti nel film, sembrano definire la sua stessa anima. Come avete dato importanza a un elemento che altrimenti sarebbe stato solo di contorno?
R.C:Sin dall’inizio avevamo avuto l’idea di animare i tatuaggi . Ma con l’andare avanti della storia hanno cominciato ad assumere una vera e propria vita, in particolare quello che noi abbiamo definito Mini-Maui: è stato un po’ l’alter ego di Maui, la sua coscienza, il suo grillo parlante, quello che ci rivelava cosa stesse succedendo dentro al suo personaggio, che a prima vista è tendenzialmente molto sbruffone. Ci ha fatto poi un immenso piacere che ad animare Mini-Maui sia stato Eric Goldberg, già animatore del genio di Aladdin.
L’animazione è molto dettagliata. In particolare come avete lavorato sulla realizzazione dei capelli di Vaiana e soprattutto dell’acqua?
R.C.: Le due cose più difficili in assoluto da realizzare in animazioni sono l’acqua e i capelli. Che diavolo ci era venuto in mente? Eravamo forse pazzi!? Quando abbiamo deciso di realizzare questo film, con questo tipo di personaggi, ci siamo resi conto che era una grandissima sfida. Fortunatamente abbiamo all’interno dello studios delle persone di grandissimo talento. Lavorandoci sopra, dopo vari test e sviluppi, abbiamo quindi combinato l’animazione in termini di effetti speciali con l’animazione relativa alla caratterizzazione dei personaggi, riuscendo a mostrare i capelli di Vaiana, quasi sempre bagnati, quindi a contatto con l’acqua, come se fossero parte integrante e unica di quel personaggio.
Quando cinque anni fa ci siamo recati su queste isole e abbiamo avuto modo di incontrare varie persone, ne abbiamo incontrata una in particolare che si riferiva al mare come se fosse una persona, un essere vivente, capace di sentimenti. Abbiamo perciò cercato di trattare l’oceano come un personaggio. Come il tappeto di Aladdin: non aveva volto, ma sapeva esprimere le emozioni. Ma soprattutto abbiamo cercato di avere un approccio visivamente spettacolare, mantenendo però l’attaccamento sacro e puro che gli abitanti del Pacifico hanno nei confronti del mare.