È andata in archivio la settantesima, attesissima e parecchio discussa edizione del Festival di Cannes. Joaquin Phoenix torna a casa con il premio per migliore attore per You were never really here (vincitore ex-aequo con The killing of a sacred deer per la miglior sceneggiatura), Zvyaginstev e il suo Loveless il premio della giuria, mentre 120 Beats per minute si è aggiudicato il Grand prix.
Hanno fatto discutere la palma come migliore attrice a Diane Kruger, il premio per la Mise en scene a Sofia Coppola (cineasta che non ha fatto altro che dividere, nel bene e nel male, sin dall’esordio) e soprattutto ha destato un certo scalpore il “Premio per il settantesimo anniversario del festival” a Nicole Kidman, assegnatole senza una motivazione esplicita.
È infine un caso a parte quello del vincitore della Palma d’oro; ha vinto Ruben Östlund, con The Square. Ha vinto una commedia e soprattutto ha vinto un regista che il festival di Cannes comincerà a coccolarsi, a tenersi stretto, a farlo diventare “uno dei loro” come i tanti artisti che sono stati fotografati durante la serata per i settanta anni del festival. Due anni fa con Force Majeure aveva vinto il premio della giuria al Un certain regard e adesso il premio cinematografico più importante del mondo.
Non è stata, tuttavia, l’edizione che gli appassionati si aspettavano. In primis, per la bagarre snobistica e anacronistica legata alla “lotta” tra il festival e Netflix (dal 2018 non verranno accettate pellicole che non usciranno in sala), al quale hanno fatto seguite le inadatte dichiarazione del Presidente di giuria Pedro Almodovar: “Sarebbe un paradosso una Palma d’oro ad un film non destinato alla sala. Le piattaforme digitali in sé sono principio giusto e positivo ma questo non dovrebbe sostituire la forma esistente come la sala cinematografica e non dovrebbe alterare le abitudini degli spettatori. Per me la soluzione è semplice: le nuove piattaforme devono accettare le regole attuali del gioco, l’unica strada per sopravvivere. Credo fermamente che almeno la prima volta che qualcuno vede un film sia necessario che lo schermo sul quale lo vede non sia più piccolo della propria sedia. Sono convinto che noi spettatori dobbiamo essere più piccoli per entrare nell’immagine e nella storia”.
Estromessi, quindi, quasi immediatamente dalla corsa ai premi Okja e The Meyerowitz stories, il concorso è andato avanti pigramente, alternando pellicole di medio livello a clamorose e cocenti delusioni, su tutte quelle di Ozon e Haneke, fedelissimi del festival rimasti a mani vuote.
Sono mancate poi, specialmente rispetto alle precedenti edizioni, le grandi e attese produzioni Hollywoodiane come Mad Max o Cafe Society, relegando una categoria più commerciale come quella dei “Fuori concorso” ad una semplice categoria collaterale. Ne è un esempio il clamoroso caso Twin Peaks: le prime due puntate della terza stagione, le quali, al tempo della conferenza stampa, erano state annunciate come se fossero in anteprima mondiale, sono poi state trasmesse quattro giorni dopo la messa in onda televisiva. È vero che a Cannes sono state proiettate al cinema, con David Lynch in sala, ma tutto ciò sembra più un favore del regista americano al festival di Fremaux che altro. Nessuna attività stampa, solo Lynch e Machlachlan presenti e solo le prime due puntate trasmesse (mentre Showtime aveva già reso disponibile la terza e la quarta).
Non possiamo poi non citare il clamoroso caso “Inarritu contro Stampa”. Il cortometraggio in Vr del premio oscar, Carne y arena, annunciato come parte integrante del programma del festival e perciò, teoricamente, accessibile ad accreditati stampa, si è invece rivelato un evento privato strettamente connesso con la Fondazione Prada, produttrice dell’opera. L’istallazione era infatti situato a mezz’ora di autobus dal Palais du Cinema e non è stato accessibile per la maggior parte degli addetti ai lavori. Si è rivelata, infatti, una “proiezione” ad inviti, esterna al festival, i cui ospiti sono stati accuratamente selezionati dalla Fondazione Prada.
A prescindere dal merito delle pellicola in gara, è impossibile non pensare che il tandem di Thierry Frémaux e Pierre Lescure inizi a mostrare segni di stanchezza tali da pregiudicare un’edizione che sulla carta di presentava importantissima, e che invece ha fatto parlare di sé il più delle volte in termini negativi.
70° Festival de Cannes: un bilancio deludente
Si è conclusa l'edizione 2017 della grande kermesse francese, che è riuscita a scontentare molti.