Per i nostalgici degli anni ottanta, Chiamatemi Anna è un tuffo nel passato. La nuova serie targata Netflix trasforma infatti i disegni del popolare cartoon Nippon Animation in volti vivi.
Basata sul romanzo Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery, la serie è composta da sette episodi. Ideata da Moira Walley Beckett (già tra i produttori di Breaking Bad) e prodotta dalla Northwood Entertainment, Chiamatemi Anna ha debuttato il 12 maggio sulla piattaforma streaming.
Anna (Amybeth McNulty) è un’orfana, cresciuta come serva in varie famiglie, e infine affidata a un orfanatrofio, che la invia per sbaglio nella casa di Marilla (Geraldine James) e Matthew Cuthbert (R. H. Thomson). I due fratelli single – in passato avremmo detto zitelli – avevano invece richiesto un maschio. Nonostante l’equivoco, Mattew è fin da subito conquistato dalla piccola Anna, mentre Marilla, fredda e austera, impiegherà più tempo a farsi coinvolgere dalla fantasiosa ed esuberante personalità di Anna, senza riuscire a resistere al suo fascino innocente. Fedele alla trama originale, la serie ci mostra il progressivo inserimento di Anna e della nuova famiglia nella contraddittoria società di Avonlea, sullo sfondo di meravigliosi scorci naturalistici catturati da una sapiente fotografia.
I temi sono quelli cari alla narrativa di fine ottocento: gli orfani e le loro tristi avventure, inserite nella cornice di una società di provincia. La serie aggiunge del suo: un approfondimento particolare sui singoli personaggi, grazie a continui flashback che si inseriscono armoniosamente nella trama, senza spezzare la continuità dell’episodio. Pregevole la delicatezza della ricostruzione culturale, che incornicia gli eventi rendendosi nascostamente determinante: la diffusione del femminismo, l’importanza del matrimonio, il rifiuto a priori dell’orfano. Una società disegnata con pennellate chiare e definite: un mondo che si affaccia al ventesimo secolo.
Aiutato dal pathos di cui già la trama originaria è intrisa, Chiamatemi Anna emoziona, e riesce incollare lo spettatore allo schermo, coinvolgendolo nel compatimento delle sventure di Anna, ma rendendolo anche partecipe di sofferenze che impregnano il mondo adulto: solitudine, abbandono, il peso delle scelte, le rinunce, le responsabilità. I sentimenti escono dalle immagini per incunearsi nell’anima dello spettatore: il dolore che colpisce non proviene però tanto dal ritratto delle peripezie di Anna, che comunque scuotono, quanto dalle sofferenze sfumate, appena accennate, dei due fratelli che la adottano.
Un cast che tiene brillantemente in alto il livello della serie, indipendentemente dal fatto che si tratti di personaggi primari o secondari. La migliore performance è quella di Geraldine James (Marilla Cuthbert), capace di una gamma espressiva straordinaria, sa risultare sorprendentemente toccante, credibile e reale nel suo ruolo di austera ‘zitella’, permettendoci di intravedere scorci di umanità: una resa che ci dà l’impressione di penetrare nella sua sfera più privata. Una serie lontanissima dall’essere destinata a un target di soli adolescenti; intrecciando i temi attuali del bullismo e della mancata accettazione del sé con quelli ormai lontani dalla nostra cività occidentale come la visione strumentale dei bambini e lo sfruttamento minorile, Chiamatemi Anna si presenta come un prodotto adatto a qualsiasi età.
Sicuramente meravigliosa agli occhi delle appassionate di Anna dai capelli Rossi e piacevolissima scoperta per quelli delle neofite, Chiamatemi Anna non può non essere apprezzata per la cura formale e l’ottima realizzazione. Se ci aggiungiamo anche le solide basi tematiche e uno snodo credibile della trama si forma un connubio che la rende una visione più che consigliata.