Dopo L’uomo d’acciaio (2013), Batman vs. Superman: Dawn of Justice (2016) e Suicide Squad (2016), il DC Extended Universe vede arrivare sul grande schermo Wonder Woman, il cinecomic dedicato interamente alla prima protagonista femminile nel mondo dei supereroi.
Diretto da Patty Jenkins (autrice di Monster, intenso film drammatico che nel 2003 ha garantito il premio Oscar a Charlize Theron) e scritto da Allan Heinberg su soggetto di Zack Snyder e Jason Fuchs, Wonder Woman torna alle radici e all’essenza di una grande protagonista dell’immaginario occidentale, con l’evidente scopo di rifondarne il mito, aldilà delle stratificazioni storiche. Il pellicola infatti, oltre il concept del cinecomic, si rivolge ai lettori degli albi pubblicati dalla DC, ma anche ai nuovi fan che non conoscono nulla delle gesta narrate dal fumetto.
Creata nel 1941 da William Moulton Marston, teorico femminista, l’icona di Wonder Woman è uno squisito mash-up postmoderno di mitologia greca e valori statunitensi, una pin up dalla bontà specchiata e la forza sovrumana, capace di tener testa agli alleati Batman e Superman.
A differenza di Bruce Wayne e Clark Kent, Wonder Woman, alias Diana Prince, non nasconde un passato oscuro né una separazione traumatica dalla famiglia: ha lasciato per sua stessa volontà l’isola delle Amazzoni, dove è stata educata a combattere strenuamente in difesa della pace. Il film di Patty Jenkins parte da questa premessa fondamentale, introducendo la storia della super eroina fin dall’infanzia.
Figlia di Zeus, plasmata dall’argilla per volontà di sua madre, la regina Hyppolita (Connie Nielsen), Diana è la principessa di Themyscira (ed ha le splendide sembianze dell’attrice e modella israeliana Gal Gadot). Suo padre stesso ha donato l’isola alle Amazzoni, con lo scopo di proteggerle dall’ira di Ares, dio della guerra.
Addestrata da Antiope (Robin Wright), intrepida guida delle principesse guerriere, Diana ha appreso che il genere umano è stato creato da Zeus a sua immagine e somiglianza, sulla base dei principi di bontà e giustizia. è solo a causa della gelosia di suo figlio Ares che gli uomini hanno scoperto la violenza, la sopraffazione e la guerra.
Quando il pilota americano Stephen Trevor (Chris Pine) precipita nelle acque di Themyscira, Diana scopre che è in corso un conflitto mondiale, la cui violenza è tanto inarrestabile da minacciare l’intera razza umana. Diana crede che dietro i tedeschi non si celi altro che la perfidia di Ares, ed è convinta che basterà individuarlo e sconfiggerlo per terminare questa, come qualunque altra guerra futura.
Nonostante l’opposizione di sua madre, Diana sa che il suo destino è battersi per la salvezza dell’umanità. Per questo, raggiungerà Londra e poi il fronte belga, dove scoprirà la reale entità della violenza degli uomini, ma anche sentimenti come l’amore e l’amicizia, grazie a Steve Trevor e la sua insolita truppa, che prevede l’ex soldato e truffatore marocchino Sameer (Saïd Taghmaoui), il cecchino scozzese Charlie (Ewen Brenner), particolarmente dedito all’alcool, ed il nativo americano noto come The Chief (Eugene Brave Rock).
Dimenticate pure le connotazioni nazionaliste e patriottiche assunte dalla nostra eroina nel corso del ‘900: Lynda Carter, il suo costume a stelle e strisce, le evoluzioni a ritmo di funky music della celebre serie tv sono più lontane che mai. Per il film di Patty Jenkins, Wonder Woman torna alla sua veste archetipica di dea ellenica (con tutte le approssimazioni del caso), pronta a tutto per il bene dell’umanità.
La bontà, la grazia e la compassione di Diana sono assolute, così la sua forza, ma il grande pregio della nuova Wonder Woman è essere in fondo una bizzarra creatura fuori dal mondo, proiettata in una realtà che ha conosciuto solo in teoria. Il film si rivela così un ottimo mix di alti valori, combattimenti spettacolari e la giusta dose di sana ironia, garantita anche dalla presenza di due interpreti irresistibili come Ewen Brenner (ovvero Spud di Trainspotting) e Saïd Taghmaoui (che nella sua filmografia spazia da L’odio di Matthieu Kassovitz ad una serie culto del calibro di Lost).
Il cast al completo si muove sul limite esatto tra realismo e comic strip, come l’intera struttura audiovisiva del film, dove non è difficile riconoscere il tratto di uno dei più importanti direttori della fotografia de Il Trono di spade, Matthew Jensen.
Il risultato è intrattenimento puro, con quel sottile equilibrio tra eroismo, distruzione e accenti comici che fa del film una delle migliori iterazioni dell’universo DC; un prodotto che si rivolge trasversalmente ad un pubblico eterogeneo, differente per età, formazione e inclinazioni.
Certo, Wonder Woman è una origin story che illustra l’arco temporale tra l’addestramento della protagonista e la Prima Guerra Mondiale, ma la scelta di non trasporre da subito storyline più celebri non dovrebbe preoccupare i fan: la formula ha già funzionato egregiamente per la Casa delle Idee con Captain America: Il Primo Vendicatore, i cui successivi installment sono stati tra le pellicole più apprezzate del Marvel Cinematic Universe. In aggiunta a questo va detto che la scelta di costruire un contesto per l’eroina interpretata dalla Gadot contribuisce a privare di una certa naïveté alcuni elementi iconografici come i bracciali, la corona e il Lazo di Hestia, riportandoli ad essere percepiti come diretta emanazione della mitologia del personaggio.
Rispetto al DCEU, questa nuova pellicola si pone come dimostrazione del fatto che la Warner sta facendo tesoro di qualche criticità di troppo emersa nei precedenti cinecomic DC, avvicinandosi a un prodotto in grado di soddisfare maggiormente un pubblico non di soli appassionati senza per questo rinunciare a un’identità decisamente differente rispetto a quella, pur eterogenea, del MCU.
Sembra infatti che un attento labor limæ abbia cercato di prevenire una serie di vizi di forma che accompagnano l’universo esteso DC sin dalla sua nascita, e se il risultato non è perfetto garantisce comunque un’esperienza cinematografica decisamente soddisfacente. I toni della pellicola rimangono a tratti gravi e lividi, ma l’accenno di qualche soluzione affine alla commedia, soprattutto nei dialoghi, contribuisce a snellire il ritmo e a riportare un po’ di quella autoironia di cui difficilmente un cinecomic può fare a meno.
Gli slow-motion e le inquadrature particolarmente drammatiche, che costituiscono la più evidente impronta di Zack Snyder sull’universo cinematografico di Batman & Co., sono ancora presenti ma in modo decisamente più funzionale, tanto che contribuiscono alla spettacolarità dell’azione senza appesantirne lo svolgimento. La scelta di preferire soluzioni musicali più modeste a quelle imponenti ascoltate in Batman V Superman: Dawn of Justice, invece, sacrifica uno dei grandi pregi del cinecomic sul Crociato di Gotham a vantaggio di un understatement musicale tutt’altro che indispensabile. Fortunatamente il ritmo funziona egregiamente senza che nessuno in sala di montaggio pensi di ricorrere alle trovate da trailer/spot pubblicitario viste in Suicide Squad.
Il classico ‘villain problem’, comune tanto ai cinefumetti DC quanto a quelli Marvel, qui sembra manifestarsi in modo minore: se uno dei due antagonisti non eccelle ma comunque funziona, l’altro apporta un contributo importante alla riuscita d’insieme. Anzi, l’arco narrativo avviato in Wonder Woman promette di garantire sviluppi interessanti anche nei futuri sequel, anche se viene da chiedersi quanto il DCEU risentirà del passaggio di consegne recentemente avvenuto tra Zack Snyder, costretto a un passo indietro dal drammatico suicidio della figlia, e Joss Whedon, in passato già primo artefice dell’identità dell’universo cinematografico Marvel. Whedon è celebre per la sua grande capacità di ritrarre personaggi femminili forti e tridimensionali, e adesso che oltre a Batgirl dovrà anche prendere le redini di Justice League, viene naturale pensare che l’amazzone di Gal Gadot risentirà in qualche modo del suo immaginario.
In attesa degli sviluppi futuri, non resta che andare in sala a vedere Wonder Woman, al cinema da giovedì 1° giugno.