Forse non molti se ne sono accorti, ma l’universo della stand-up comedy americana è in grande forma: in patria sta vivendo un momento di grande esposizione mediatica e anche da noi in Italia è uno dei format più visti in streaming su Netflix; qualche tempo fa persino il cinema indipendente ha voluto omaggiare quello che da noi chiamiamo cabaret con un bel film di Mike Birbiglia, Don’t Think Twice, che racconta la scalata al successo di comici più o meno improvvisati. Non è dunque un caso che l’industria della serialità abbia deciso di cavalcare l’onda: I’m Dying Up Here si inserisce proprio in questo immaginario e lo fa tentando di raccontare la stand-up comedy americana delle origini, quella dei primi anni ’70 che ha saputo sfoggiare talenti come Johnny Carson, Andy Kaufman e Richard Pryor.
Un cast corale
Prodotta da Showtime, ideata da David Flebotte (sceneggiatore che ha lavorato in Desperate Housewives, Masters of Sex e Boardwalk Empire) e con l’ingombrante figura di Jim Carrey come executive producer, I’m Dying Up Here è andata in onda il 4 giugno scorso con il pilot diretto da Jonathan Levine (quello di 50/50) introducendo, come da copione, un numeroso cast che interpreta un altrettanto numeroso gruppo di comici indaffarati a intrattenere il pubblico di un comedy club. A parte una piccola comparsata di Johnny Carson (interpretato da Dylan Baker) i personaggi sono tutti frutto di fantasia: Cassie (l’Ari Graynor di Fringe), il giovane Adam (RJ Cyler di Me & Earl & the Dying Girl), Sully (Stephen Guarino), il veterano del Vietnam Ralph (l’Erik Griffin di Workaholics). C’è anche Sebastian Stan, intorno al quale ruota l’intero episodio pilota: il suo Clay Apuzzo è un comico italo-americano di Boston che si scopre sorprendentemente infelice di aver raggiunto il successo arrivando in TV sulla poltrona più ambita da tutti, quella del The Tonight Show.
Dalla comedy alla dramedy
Ma non la facciamo così facile: perché, nonostante le premesse, I’m Dying Up Here appare subito molto lontana dall’essere una carrellata sulla professione spensierata del comico, rivelandosi invece (forse in modo più interessante) una vera e propria dramedy capace di mixare battute irresistibili pronunciate sul palco con un dietro alle quinte tanto oscuro quanto spietato. Il pilota, a ben vedere, sono sessanta minuti di narrazione in cui fanno capolino una serie di personaggi afflitti da ansie e da stati di depressione, un suicidio, un funerale e una dose massiccia di cinismo. L’universo intimo dei protagonisti insomma non fa affatto ridere (tutt’altro), esprime con un certo patetismo una sequela di inguaribili tormenti esistenziali e di frustrazioni professionali. Ciò che indaga I’m Dying Up, almeno nella sua prima puntata, è dunque la funzione sociale della comicità in quanto canalizzatrice di inadeguatezza. Da una vita infelice e triste può nascere un talento comico e perfino dalla scomparsa di qualcuno che ci è caro possono nascere spunti per diffondere umorismo e provocare risate. Si ride, ma lo humour proposto è nerissimo.
Un pilot ben congegnato
Dall’altra parte la messa in scena di Levine, pur nella sua classicità, è piacevolissima ed è capace di presentare quanto basta i numerosi protagonisti della serie in una solo episodio. I dialoghi di Flebotte sono brillanti e fulminano lo spettatore con un incedere fitto da screwball comedy (non a caso per molti aspetti ricordano gli scambi di battute corali di The Newsroom). Tutto il resto è ben congegnato: dai costumi e dalla scenografia anni ‘70 alle musiche azzeccatissime che omaggiano, fra gli altri, David Bowie e il trasformismo glam.
Con ancora il fantasma di Vinyl che grida vendetta (prodotto HBO partito con premesse simili e poi cancellato dopo una sola stagione) è ancora presto per capire se I’m Dying Up Here ha tutte le carte in regola per ritagliarsi un ruolo interessante nei prossimi mesi. Il rischio, dietro l’angolo, è che non riesca a tenere lo stesso livello di scrittura dei dialoghi e sulla lunga distanza non sia capace di affrontare con la giusta profondità i tanti (forse troppi) temi e characters che ha messo in gioco nel primo episodio. Con queste premesse Showtime dovrà mettere in archivio un altro flop. Ma, almeno per adesso, si parte in discesa.