La Mummia è tornata sul grande schermo, ma stavolta è una donna (Sofia Boutella) e a tenerle testa c’è Tom Cruise. Sono passati quasi vent’anni da quando la Universal produsse una pellicola dallo stesso titolo (La Mummia, 1999), e, nonostante il franchise non si rivelò dei più memorabili, garantì allo studio incassi di tutto rispetto. Da allora però il mercato cinematografico è molto cambiato, e dato che The Walt Disney Company e Warner Bros. hanno dimostrato quanto sia profittevole la fondazione di universi narrativi complessi (il riferimento è ovviamente al Marvel Cinematic Universe e al DC Extended Universe), la Universal, detentrice dei diritti di sfruttamento di alcuni dei più iconici mostri letterari – e non – del ‘900 (Dracula, Frankenstein, Dr Jekyll e Mr Hide, l’Uomo Lupo, l’Uomo Invisibile, il Fantasma dell’Opera e il Gobbo di Notredame) ha deciso di creare il Dark Universe, un contesto moderno e coerente in cui rilanciare una serie di pellicole ispirate ai grandi cattivi della sua storia. Se però credete che l’idea di sfruttare i mostri per un fiorire quasi incontrollato di pellicole sia un’operazione figlia della industry contemporanea, vi sbagliate: è anzi la ricetta che ha reso la Universal quel che è oggi.
La mummia del 1932, la maledizione di Tutankhamon e lo script su Cagliostro
La Universal, nella sua gloriosa storia, ci ha regalato (tra le altre) pellicole che hanno segnato la nascita del genere horror e che hanno contribuito in modo decisivo a plasmare l’immaginario collettivo moderno. Tra queste vi è The Mummy (1932), in cui il torreggiante Boris Karloff interpretava Imothep, un sacerdote egiziano che, riportato in vita dal regno dei morti, assumeva sembianze da vivente e cercava di far tornare dall’aldilà la sua amata Anck-Su-Namun. The Mummy non prendeva ispirazione da una fonte letteraria come altri monster movie classici dello studio (Dracula e Frankenstein su tutti), ma al contrario era il mero riadattamento in salsa egizia di un trattamento sul mago millenario Cagliostro, il cui scopo era fare leva sulla portentosa scoperta della tomba di Tutankhamon, risalente a soli 9 anni prima. Nonostante il film non ebbe un sequel vero e proprio, ricevette una buona accoglienza e solo 8 anni dopo portò a un parziale rifacimento (The Mummy’s Hand, 1940) cui seguirono tre sequel, tutti incentrati su Kharis, una sorta di potentissimo zombie ante-litteram.
Nel 1959 la Hammer Productions girò un nuovo The Mummy, remake della pellicola del ’40, in cui a vestire i panni del non morto era il leggendario Christopher Lee, mentre a contrastarlo vi era il volto scavato e iconico di Peter Cushing. A quel film ne seguirono altri tre, scollegati tra loro, e “la mummia” finì per diventare saldo patrimonio della cultura pop contemporanea.
Si dovette aspettare però il 1999 perché la Universal tornasse a riproporre in chiave moderna (e con molti cambiamenti) il classico del ’32, virando sui toni avventurosi e della commedia e facendo sfoggio incontrollato di visual effects. La pellicola, con protagonisti Brendan Fraser e Rachel Weisz, ebbe due sequel, uno spin-off e un prequel, ricordati tanto per aver lanciato la carriera cinematografica di Dwayne ‘The Rock’ Johnson quanto per la vergognosa CGI del Re Scorpione.
Non sempre l’insieme è più della somma delle singole parti
Se la massima aristotelica vuole che il tutto sia maggiore della somma delle proprie parti, il nuovo film sul mostro con le bende sembra voler dimostrare il contrario. La Mummia attinge infatti a piene mani al passato del franchise, ibridando elementi narrativi degli installment precedenti, recuperando i toni delle pellicole di metà secolo ma al contempo non rinunciando agli elementi adventure spettacolari della saga iniziata nel ’99, da cui prende in modo fortunatamente molto discreto anche qualche venatura comica. Non mancano nuove idee, come ad esempio l’inserimento di una protagonista femminile, una diversa declinazione di quella che oggi chiamiamo origin story e soprattutto i germi di una narrativa supereroistica team up che fa pensare tanto al reclutamento di superuomini fatto da Nick Fury nel MCU (nella parte del ‘cacciatore di teste’ qui abbiamo Russell Crowe) quanto all’improbabile team di personaggi di ispirazione letteraria del ben meno fortunato The league of extraordinary gentlemen (2003) di Stephen Norrington. Questa sorta di rekombinant di un film d’avventura, un horror che non spaventa e un cinecomic scorre sorprendentemente bene e, tutto sommato, può dirsi un film riuscito, ma risulta totalmente privo di ambizione e di atmosfera.
Penny Dreadful e Logan non hanno insegnato niente
A dirigere La Mummia c’è Alex Kurtzman, produttore e sceneggiatore di successo, già regista del dimenticabile Una famiglia all’improvviso ma anche creatore della serie Fringe (insieme a J.J. Abrams e Roberto Orci). Kurtzman fa un lavoro tutto sommato sorprendente, considerato che nonostante il modesto appeal del materiale a sua disposizione confeziona un lavoro che intrattiene e ha un linguaggio cinematograficamente solido. Il problema è che, per l’appunto, i tempi sono cambiati, e sarebbe stato lecito aspettarsi che la Universal sfruttasse maggiormente il fascino delle sue proprietà intellettuali e ne approfittasse per differenziarsi in modo più netto da quei cinecomic che, diciamolo, hanno iniziato a stancare già da qualche tempo. Al contrario la Universal sceglie di imitare la concorrenza anziché giocare d’attacco e, nel farlo, non riesce nemmeno a sfruttare le interessantissime tematiche a disposizione. Nonostante si parli di morte, maledizione, vendetta e divinità maligne, non c’è verso che il film sfiori lontanamente toni drammatici, dimostrando di non aver imparato nulla dall’interessantissima operazione fatta da Showtime nel definire le atmosfere di Penny Dreadful né di aver capito della domanda di contenuti adulti da parte del mercato (basti pensare a Logan).
Il casting, vera nota dolente
A lasciare attoniti più di ogni altra cosa ci sono le scelte di casting. La franco-algerina Sofia Boutella è convincente nel ritrarre un personaggio determinato (seppur bidimensionale) e ha addirittura origini parzialmente nord-africane, dimostrando lo sforzo della Warner di evitare polemiche per il whitewashing – pur attuando poi un’operazione di ‘sbiancamento’ del character a dir poco subdola. Anche Russell Crowe offre una performance interessante pur dovendo giostrarsi con una scrittura piuttosto noiosa del suo iconico personaggio (Dr. Jekyll e l’alter ego Mr. Hyde), privato ancora una volta di ogni drammaticità.
È però il resto del cast a rivelarsi completamente sbagliato, tanto da lasciare esterrefatti a ogni scena in cui appare: Annabelle Wallis (Peaky Blinders, Tudors) è ridicolmente inadatta nel ruolo di un’archeologa che sembra una top model, riportandoci a forzature che speravamo defunte da decenni, mentre Jake Johnson (il Nick Miller di New Girl) è il sidekick comico di cui nessuno sentiva il bisogno.
Siamo quindi alla scelta più disarmante, ovvero quella del protagonista. Nonostante abbia dimostrato di essere perfetto nei panni del risoluto Ethan Hunt di Mission: Impossible o anche in pellicole ‘minori’ come Edge of Tomorrow o Oblivion, Tom Cruise ne La Mummia risulta il classico bambolotto yankee privo di ogni fascino e mistero, e probabilmente il motivo per cui funziona male è proprio che, contrariamente rispetto a quando è una spia dalle mille risorse, in The Mummy è continuamente in balia della maledizione lanciatagli dal mostro protagonista. Se poi consideriamo che (seguono spoiler) alla fine del film finirà lui stesso per diventare la mummia (ecco il whitewashing più furbo e spudorato di sempre), l’assenza di carisma del personaggio rischia di riverberarsi sullo sviluppo dei sequel.
In conclusione La Mummia è una pellicola nata spudoratamente per piacere a tutti, e proprio per questo è divertente ma fondamentalmente debole. Ci sono spunti iconografici molto interessanti (dai corvi resuscitati della prime scene ai crociati zombie nell’inseguimento subacqueo) ma manca la forza di quegli archetipi che invece dovrebbero essere i piloni portanti di un universo narrativo basato sui mostri. La Mummia è chiaramente un episodio introduttivo, con cui la Universal ha voluto sondare il terreno per capire in quale direzione andare in futuro. C’è solo da sperare che un domani lo studio faccia tesoro dei dubbi sollevati da questo avvio del Dark Universe, e allora potremo veramente sperare di vedere dei blockbuster che, oltre a intrattenere, rendano giustizia a grandissimi personaggi che ambiscono a portare in scena.