Attenzione, la recensione contiene spoiler.
Sono molte le ragioni per cui potremmo affermare senza tema di smentita che Orange Is The New Black rappresenta uno dei più importanti prodotti della televisione degli ultimi decenni: dal fatto che sia la serie più seguita del principale web service al mondo, alla straordinaria capacità di rivoluzionare il modo in cui è raccontato l’universo femminile in televisione, al merito di aver acceso i riflettori senza retorica e senza moralismi sulle vite dimenticate di chi si ritrova a scontare in carcere i propri piccoli o grandi errori.
Costruito sul libro di memorie di Piper Kerman, lo show ha dimostrato tanto di saper affrontare temi di carattere sociale quanto di saper appassionare con le digressioni biografiche delle numerose comprimarie, riuscendo a intrattenere pur mantenendo un tono estremamente radicato nella verosimiglianza.
LA RIVOLTA DI ATTICA DEL 1971 DIVENTA UNA FONTE D’ISPIRAZIONE
Per qualsiasi serie, cinque stagioni iniziano ad essere tante; figuriamoci per una che – pur apprezzata – già in passato ha manifestato qualche segno di stanchezza. Per evitare di arenarsi nelle iterazioni delle vicende della protagonista principale Piper Chapman (la brava Taylor Schilling) o di riproporre la già abusata dinamica delle tensioni tra bande, la showrunner Jenji Kohan in occasione del quinto ciclo di episodi prende la coraggiosa scelta di operare un sterzata a favore di una minore aderenza alla realtà e, con molte libertà narrative, decide di incentrare l’intera stagione su una rivolta con cui le detenute finiscono per prendere il controllo totale del carcere di Litchfield.
Le rivolte carcerarie, nella realtà, sono più comuni di quanto non si creda ed esistono numerosi esempi di sollevazioni ben più lunghe, sanguinose o distruttive di quella raccontata dalla serie Netflix: dai 25 giorni di caos della Strangeways Prison a Manchester nel 1990 alla ribellione da 40 milioni di dollari di danni a Lucasville nel 1993, passando per il ‘massacro di Carandiru’ a San Paolo, che nel 1992 fece contare 111 morti tra i carcerati. La penna della Kohan sembra ispirarsi soprattutto alla rivolta di Attica (citata più volte nello show), che nel 1971 vide oltre la metà dei detenuti dell’omonimo penitenziario americano prendere il controllo della struttura per quattro giorni e sequestrare oltre 40 guardie, allo scopo di richiedere il rispetto dei diritti umani e condizioni di vita accettabili.
UNA NARRAZIONE MAI COSÌ CORALE E CATTIVA
Nel caso di Orange Is The New Black la rivolta, nata come conseguenza delle tensioni sviluppatesi alla fine della precedente stagione come risposta alla morte di Poussey, diventa una straordinaria opportunità per portare a una coralità assoluta, verso la quale lo show non si era mai spinto – almeno non in questa misura.
La protagonista Piper Chapman viene ridimensionata e resa addirittura meno influente di molte altre comprimarie, e più che l’equilibrio tra reclusione e mondo esterno prevale il racconto di Litchfield come di un microcosmo isolato, in cui le dinamiche psicologiche collettive finiscono per far sì che le detenute si spingano più in là di quanto non avrebbero voluto.
Se l’inaspettato e fugace senso di libertà respirato dalle donne di Litchfield le porta a riappropriarsi – in modo sempre goffo, limitato e ostentato – di quelle piccole abitudini quotidiane che normalmente sono loro precluse, la possibilità di riversare su delle guardie impotenti la propria frustrazione porta anche ad atti di violenza e disumanità che, una volta tanto, ci ricordano quanto sia complessa la realtà e quanto molte di quelle ragazze cui ci siamo affezionati sappiano anche essere spregevoli sociopatiche.
TUTTO È CONCESSO; ANCHE AGLI SCENEGGIATORI
Una grande novità in termini di scrittura è quella di sfruttare il provvisorio ribaltamento delle prospettive per toccare possibilità narrative decisamente inverosimili, e che però, nell’insieme, arricchiscono l’esperienza Orange Is The New Black di una dimensione teatrale che sorprende e funziona. Mai come in questa quinta stagione infatti le vicende narrate finiscono per risultare forzate, inverosimili o caricaturali, eppure questo cambio di paradigma è gestito con grande eleganza e diventa un pretesto per esplorare lati del carattere delle protagoniste che altrimenti sarebbero stati solo accennati. Le donne di Litchfield possono improvvisamente avere l’illusione che la propria voce conti, possono momentaneamente lasciarsi alle spalle il ruolo che hanno faticosamente conquistato nel sistema sociale chiuso della prigione, possono concedersi il lusso di sentirsi femminili, possono mettersi alla prova con il mondo esterno per sentirsi ascoltate, comprese e addirittura ammirate.
Poco importa se risulta improbabile la trasformazione di Maritza e Flaca in star del web, se la tossicodipendenza di Red la trasforma in una macchietta, se Frieda ha un bunker segreto, se Boo si aggira per il carcere in un completo da uomo o se Lorna decide di improvvisarsi farmacista: nel gioco degli estremi messo in scena dagli autori, ogni personaggio ha il suo momento per brillare, con una lettura allegorica che spesso sfocia addirittura nel poetico.
UN LINGUAGGIO REGISTICO RINNOVATO
La quinta stagione di Orange Is The New Black osa non solo nella scrittura, ma anche nella forma. Sono molti i momenti nei quali i registi si prendono più libertà di quante non ne avessero in passato, e una tale direzione non può che apportare freschezza a un prodotto che altrimenti avrebbe rischiato di rivelarsi ripetitivo.
Innanzitutto saltano all’occhio soluzioni di montaggio che rompono la prevedibilità della narrazione alternata di presente e passato, con episodi nei quali finiscono addirittura per succedersi sullo schermo due linee narrative del passato e cinque del presente (delle quali due esterne al carcere) nell’arco di meno di 60 minuti. Anche l’episodio in cui si tiene un’improbabile edizione di Litchfield’s Got Talent permette all’editor e al regista di giocare non poco con le possibilità offerte dall’espediente narrativo.
Altra soluzione degna di nota è quella di trasformare i folli deliri di Suzanne quasi in dei monologhi shakespeariani, che quando rivolti allo specchio permettono alla camera di arrestarsi in posizione perfettamente frontale con un risultato vicino all’abbattimento della quarta parete.
Notevolissima poi la digressione nei cliché dell’horror che viene offerta dal nono episodio, capace tanto di divertire con le sue giocose citazioni delle convenzioni del cinema di paura quanto di creare una reale tensione in merito alle intenzioni di un Piscatella che – anche lui – si renderà protagonista di sviluppi narrativi a dir poco estremi.
IL TROPO DEL “SOMETHING COMPLETELY DIFFERENT”
C’è un tropo televisivo che in gergo viene chiamato “something completely different” e che viene generalmente sfruttato per confezionare un singolo episodio in cui le regole del linguaggio tipico di una serie vengono ironicamente sovvertite (si pensi ad esempio agli episodi musical, piuttosto frequenti anche in serie tutt’altro che musicali). Questa quinta stagione di Orange Is The New Black prende quel tropo e lo eleva a chiave di lettura di un intero ciclo narrativo, mostrandoci un ‘universo parallelo’ che somiglia a dei sogni delle detenute trasformatisi progressivamente in incubi. La scelta di una così radicale parentesi si rivela vincente non solo perché ci consegna 13 episodi decisamente soddisfacenti, ma anche perché in futuro ci permetterà di guardare a quelle donne con un’empatia ancora maggiore e perché al contempo offrirà l’opportunità di introdurre novità sufficienti per rendere interessanti la sesta e la settima stagione, già previste da Netflix. Ecco perché Orange Is The New Black 5 è in assoluto una delle stagioni più importanti per la serie.
Orange Is The New Black si dimostra ancora una volta una serie scritta e girata con grandissimo talento e intelligenza, ma soprattutto le interpretazioni delle sue numerosissime attrici – capaci di spaziare tra i registri più vari – si rivelano di un livello clamorosamente alto. Non credete anche voi che Danielle Brooks/Taystee (tanto per fare un nome) potrebbe tranquillamente offrire interpretazioni da Oscar se approdasse a Hollywood?
La sesta stagione è ancora lontana, ma non vediamo l’ora di scoprire cosa riserverà il futuro a questi personaggi così eterogenei e così credibili.