Negli anni in cui Breaking Bad andava in onda sul canale via cavo AMC, rivoluzionando per sempre il panorama seriale mondiale, c’era un detto che riassumeva in pieno la creatura di Vince Gilligan: “in Breaking Bad non succede mai quello che ti aspetti, e se te lo aspetti non succede mai nei tempi e nei modi che ti aspettavi”; ecco, questo concetto lo possiamo allargare anche a Better Call Saul, quello che viene considerato (ormai all’unanimità) come il miglior spin-off nella storia della TV.
Chi si aspettava nel season finale della terza stagione appena conclusa la definitiva trasformazione di Jimmy McGill in Saul Goodman dovrà ancora pazientare: Gilligan e Peter Gould rimescolano ancora una volta le carte in tavola con una puntata che apre nuovi, inaspettati scenari.
Quest’anno ci sono stati degli importantissimi sviluppi di trama.
Jimmy (Bob Odenkirk) e Kim (Rhea Seehorn) finalmente aprono il loro studio associato ma Chuck (Michael McKean) non si dà per vinto riguardo la querelle che coinvolge la Mesa Verde, e decide di portare in tribunale la faida familiare, con pesanti conseguenze. Nel frattempo la presenza di Gus Fring (Giancarlo Esposito) sconvolge gli equilibri del narcotraffico locale, portando Hector Salamanca (Mark Margolis), che vede il proprio business illegale minacciato dal cileno, a diventare ancora più incontrollabile, a danno anche del suo braccio destro Nacho (Michael Mando). Stretto nella morsa di una tensione crescente, Mike (Jonathan Banks) decide di prendere posizione, alleandosi con Fring. Gli eventi della stagione, in conclusione, costringeranno Jimmy a rimettersi in gioco, portando la ‘trasformazione’ in Saul Goodman quasi a un punto di non ritorno, mentre un Chuck ormai allo sbando pagherà a caro prezzo la sua cieca battaglia contro il mondo.
Nella terza stagione è il cinismo a prevalere nettamente, in pieno stile Breaking Bad.
Già alla vigilia eravamo consapevoli che la discesa in campo di quel personaggio straordinario che risponde al nome di Gus Fring avrebbe dato alla serie la scossa che tanti fan chiedevano da tempo e, come ampiamente previsto, così è stato: nonostante la sua storyline non abbia ancora di fatto incrociato quella di Jimmy (quel primo incontro all’interno del fast food Los Pollos Hermanos ha avuto una valenza soprattutto simbolica), il suo carisma strabordante altera gli equilibri di una piazza apparentemente tranquilla come Albuquerque, attuando quel processo di trasformazione che era il punto fermo di uno show come Breaking Bad.
Mai come quest’anno, pur non perdendo neanche per un secondo la sua identità, Better Call Saul si è avvicinata alla serie madre in termini di drammaticità e lo sconvolgimento del mercato della droga (che ha già mietuto la prima vittima eccellente, Hector Salamanca) inevitabilmente si ripercuoterà anche sul futuro del nostro “eroe”. Qui è proprio il caso di dirlo, se Atene piange Sparta non ride: Jimmy deve affrontare le conseguenze del suo discutibile comportamento (che lo porteranno a diventare l’avvocato macchietta più famoso della TV), ma i due showrunner sono bravissimi a non imputare solo al personaggio interpretato da Bob Odenkirk le disavventure che colpiscono gli altri characters che lo circondano. Come in Breaking Bad ogni azione individuale comporta delle reazioni e, se si sbaglia, è impossibile tornare indietro: questo vale per Jimmy, vale per Kim (che rischia la vita per il troppo lavoro), vale per Hamlin e vale anche per Chuck, il “villain” di Better Call Saul.
L’uscita di scena di Chuck è stato uno dei momenti più intensi della storia dello show.
Gilligan e Gould, in queste tre stagioni, hanno dipinto Charles McGill come un uomo spietato, freddo e calcolatore ma al contempo profondamente rispettoso della legge. Una tale caratterizzazione ha creato una condizione di naturale contrapposizione tra lui e Jimmy, il quale – pur suscitando empatia – ha in parte finalmente dimostrato i tratti da egoista e manipolatore dei quali il fratello lo aveva sempre accusato.
Chuck non può però può dirsi innocente: il suo carattere sembra infatti un’estremizzazione di quello di Jimmy. In tal senso la scena d’apertura dell’ultimo episodio (i due fratelli da piccoli sotto una tenda da campeggio) indica quanto il futuro Saul Goodman sia stato in realtà influenzato da Chuck, che non ha alcuno scrupolo nel farsi terra bruciata attorno e nel distruggere la propria creatura, lo studio legale HHM, solo per assecondare il proprio stratosferico ego. Sta anche in questi dettagli la grandezza della scrittura di Better Call Saul, in grado sempre di stupirci: pur arrivando a detestare il character impersonato da Michael McKean (straordinario in questo ruolo), lo spettatore nel season finale prova comunque compassione per un uomo sconfitto e vittima della malattia mentale che vuole porre fine bruscamente alle proprie sofferenze.
Ovviamente, in mezzo a così tante maschere dalla moralità discutibile, emergono ancora di più i personaggi positivi come Hamlin e soprattutto Kim (una Rhea Seehorn da Emmy), il vero motivo per cui Jimmy non ha ancora completato la sua metamorfosi. È facile immaginare che, dopo la scomparsa di Chuck, sarà la separazione dall’amato personaggio dell’avvocatessa a segnare la definitiva catabasi del protagonista, e considerato il lavoro preparatorio fatto in queste tre stagioni, c’è da scommettere che quel momento sarà emotivamente lancinante.
Il vero segreto del successo di Better Call Saul sta nella sua capacità di regalare le stesse emozioni di Breaking Bad.
Alan Sepinwall, probabilmente il critico televisivo più influente d’America, parlando di Better Call Saul ha coniato la formula “Breaking Bad Extended Cinematic Universe“. È proprio questa continuità narrativa a rappresentare il segreto del successo dello show: l’abilità da parte di Vince Gilligan e Peter Gould di far rivivere allo spettatore le stesse sensazioni che provava nel guardare Breaking Bad. L’universo narrativo proposto dallo spin-off è lo stesso del capolavoro AMC, e quell’atmosfera, quel ritmo e quelle inquadrature che rendevano Breaking Bad unica le ritroviamo intatte nel prequel.
La formula funziona tanto che se dopo Better Call Saul il network volesse continuare a portare avanti il microcosmo creato da Gilligan con un altro spin-off gestito dallo stesso showrunner, il pubblico risponderebbe probabilmente entusiasta. Gli spunti sono molti, dall’ascesa al potere di un giovane Hector Salamanca alla vita di Jesse Pinkman dopo gli eventi di Felina, e pur di rivivere le stesse emozioni, saremmo disposti a concedere ancora una volta carta bianca alla AMC.
Better Call Saul è senza ombra di dubbio uno dei prodotti televisivi dell’anno, e in attesa del rinnovo (ancora non c’è stato l’annuncio ufficiale ma è difficile che il canale basic cable rinunci alla sua serie più prestigiosa) è già partito il conto alla rovescia in vista della prossima stagione, assolutamente convinti che il Re Mida Vince Gilligan continuerà nuovamente a sorprenderci.