Okja, il nuovo film prodotto da Netflix e arrivato il 28 giugno sulla piattaforma senza passare per la distribuzione nelle sale, per quanto ci riguarda potrebbe d’un solo colpo porre fine alle accese polemiche sul futuro delle release cinematografiche e sulla strategia direct-to-home del web service di Los Gatos; polemiche comprensibili ma comunque vittime di un fallimentare conservatorismo, dato che nel libero mercato non ha senso pensare di ostacolare le scelte distributive di un player come Netflix minacciando di allontanarlo dai circuiti festivalieri.
Noi di Anonima Cinefili siamo i primi a difendere il buio della sala, la magia del grande schermo e l’esperienza collettiva della visione ininterrotta, ma l’esperienza cinematografica garantita da Okja è talmente forte e di qualità da far passare in secondo piano le dispute ‘tecniche’ e far concentrare sul merito del prodotto artistico (motivo per cui probabilmente è finita in concorso a Cannes). In questo senso Okja è il primo vero film ‘di livello’ di Netflix, il primo che, anziché lasciare con l’impressione di un lavoro imperfetto o destinato a un pubblico ristretto, avrebbe probabilmente riscosso un ottimo successo anche con una distribuzione tradizionale. Per questo viene naturale non porsi nemmeno il problema del canale distributivo, un po’ come è successo tutte quelle volte che, nel recuperare film più o meno importanti del passato, siamo stati costretti a vederli sul nostro televisore anziché in sala.
La pellicola del coreano Bong Joon-ho, già autore dell’ingiustamente sottovalutato Snowpiecer (con cui Okja ha in comune Tilda Swinton e la tematica anti-capitalista), è sostanzialmente una favola dalle venature horror, un racconto pregno di sentimenti e magia ma anche caratterizzato da una fortissima critica all’allevamento intensivo di animali da macello. Una pellicola magnificamente girata, con eccellenti effetti speciali e con un cast di grandissimi interpreti, che è profondamente debitrice all’immaginario di Hayao Miyazaki.
Prima che si accenda in alcuni nostri lettori il fuoco che anima le tifoserie degli ‘evangelizzatori’ vegani o dell’orgoglio carnivoro, va detto che senza dubbio la pellicola ha un messaggio tanto forte contro il consumo della carne da risultare quasi vicino al propagandismo vegetariano, ma è bene chiarire che l’intento narrativo del regista – che non è riuscito a mangiar carne solo nei due mesi successivi alle ricerche per il film – è quello di raccontare la contraddittorietà e complessità del nostro rapporto con il mondo animale, quello strano meccanismo per cui in Corea alcuni cani vengono trattati come amici di famiglia di vecchia data mentre altri vengono venduti senza alcun clamore come inermi pezzi di carne destinati a zuppe ricostituenti.
È proprio da un programma sul rapporto di profondo affetto che si instaura a volte tra uomini e animali che nasce la sceneggiatura, e non è un caso che la creatura che dà il titolo al film somigli a un gigante incrocio tra un cane e un ippopotamo, o meglio ancora ai perturbanti ibridi dell’artista australiana Patricia Piccinini. Okja è uno dei sedici esemplari di una nuova specie animale che la multinazionale diretta da Lucy Mirando (una perfetta Tilda Swinton) ha distribuito in giro per il mondo con un’iniziativa di marketing ammantata di scientificità il cui scopo è preparare il pubblico alla commercializzazione della carne di questa sorta di ‘maiale gigante’. È una creatura dotata di un’intelligenza e una fedeltà straordinarie ed è cresciuta in mezzo alle montagne coreane, sempre in compagnia della giovanissima nipote dell’allevatore (la bravissima Ahn Seo-hyun), con cui ha un rapporto quasi simbiotico. Un giorno però un naturalista televisivo decisamente sopra le righe (un Jake Gyllenhaal volutamente cartoonesco), che fa da testimonial alla Mirando Corp, si presenta alla fattoria per reclamare per conto della corporation la proprietà di Okja. La ragazzina non ha ovviamente alcuna intenzione di abbandonare il proprio amico e così, con l’aiuto di alcuni attivisti del Fronte di Liberazione Animale (tra i quali spicca il magnifico Paul Dano e si intravede Lily Collins), farà di tutto per impedire che quella creatura per lei così speciale venga macellata insieme ai suoi simili.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Boon-ho insieme a Jon Ronson (Frank), riesce a innalzare continuamente la posta emotiva senza cadere nello stucchevole e, nonostante la presenza di alcune scene piuttosto scioccanti, rifugge l’ovvio e con un finale sfumato lascia anche margini di interpretazione. Quello che è essenzialmente un dramma viene comunque scandito da molti momenti ironici, ed è evidente lo sforzo del cineasta di non cedere alla banalità: i volontari del FLA sono eroici eppure sono anche degni di derisione, estremisti, a tratti infidi; allo stesso modo la business woman interpretata dalla Swinton è chiaramente un personaggio negativo, eppure in lei si intravede lo sforzo di mantenere qualche forma di etica e deontologia, mentre la spietata gemella di Lucy Mirando, nella sua visione binaria del mondo come di una piazza affari, finisce per mostrare una coerenza quasi apprezzabile per la sua mostruosa linearità.
I numerosi personaggi si alternano sullo schermo non sempre svolgendo un ruolo nell’intreccio narrativo, ma sempre contribuendo come pennellate decise e indispensabili alla costruzione di un mondo senza tempo in cui siamo trasportati ex abrupto; un presente ucronico in cui il mondo è sovrappopolato e una gigantesca multinazionale cerca di sfamarlo riducendo al minimo l’impronta ambientale (un intento positivo dalle implicazioni difficilmente accettabili).
Okja è un lavoro che non vi lascerà indifferenti e che vi porterete dietro col tempo. Un’opera per tutti, ma che riesce a ritrarre per iperbole la complessità dell’etica e la cieca perseveranza del capitalismo più selvaggio, quello che per comodità ci facciamo andar bene. Uno dei migliori film dell’anno.
Solo in Netflix, leggendo un progetto del genere, si sarebbe potuto pensare di dare 50 milioni di dollari e carta bianca a Bong Joon-hu, e in tal senso la presenza di uno studio capace di operazioni tanto coraggiose – a prescindere dalle logiche di distribuzione – non può che essere salutata come una straordinaria ricchezza per il cinema contemporaneo. Okja è disponibile per la visione per tutti gli abbonati di Netflix.
Okja: il primo vero ‘capolavoro’ tra i film Netflix (recensione)
Dopo il concorso a Cannes, arriva su Netflix una storia dolce e amara sull'amicizia tra una bambina e una creatura simile agli ibridi di Patricia Piccinini.