Giovedì 29 giugno è arrivato nelle sale italiane il film indipendente Ninna Nanna, per la regia di Enzo Russo e Dario Germani, che tratta coraggiosamente e senza cadere nel dramma melenso la storia di Anita, un’enologa di successo che dopo la nascita della figlia inizia a soffrire di depressione post parto. Un’opera prima inusuale e coraggiosa, dove anche la protagonista Francesca Inaudi non ha avuto paura di interpretare un personaggio scomodo, ma che riesce ad arrivare con sincerità allo spettatore. Abbiamo incontrato per voi due degli sceneggiatori del film, Damiano Bruè e Sante Paolacci, che ci hanno raccontato come una produzione maschile possa essere riuscita a creare un film tanto empatico quanto realista.
Da dove nasce l’esigenza di raccontare un tema che in Italia è così poco preso in considerazione?
D.B.: Credo che nasca proprio da questo. L’idea a noi è arrivata dai registi e credo che abbiano avuto questo bisogno perché in Italia il tema della depressione post parto è un tabù. Spesso è stato raccontato nella letteratura cinematografica con tanto dramma e poco realismo genuino, con un’artificiosità nata anche dalla necessità di fare un cinema alto e di un certo spessore. Il contesto che abbiamo voluto raccontare noi è all’opposto: un’opera prima di due registi giovani e soprattutto uomini, il cui punto di vista è ovviamente molto lontano da una tematica come questa. Era necessario far toccare gli estremi per poter raggiungere delle corde che spesso restano nascoste, volontariamente o meno.
Negli altri film di produzione italiana che raccontavano questo tema, come Quando la notte di Cristina Comencini o Tutto Parla di Te di Alina Marazzi, oltre alla regia anche la sceneggiatura era curata per lo più da donne. Come nasce un’empatia tanto forte da parte di uomini e quale è stato il vostro lavoro di sceneggiatori sotto questa luce?
S.P.: Abbiamo cercato di spogliarci del ruolo di maschio e marito e, seguendo quasi un lavoro che si addice più agli attori, ci siamo immedesimati. Ci sono venuti in aiuto gli innumerevoli blog presenti online, che riportano tantissime storie e testimonianze in prima persona di donne che hanno affrontato la depressione, passando ovviamente per manuali e trattati di vario genere, fino all’aiuto concreto di una psicologa che ci ha guidato con le sue consulenze, in modo da aiutarci a non far passare messaggi sbagliati o stereotipati . Abbiamo cercato soprattutto un equilibrio tra i casi più leggeri e quelli più estremi, trovando una via che fosse la più ampia possibile, in grado di raccontare con estrema sincerità una condizione che viene taciuta, ma che in realtà è comunissima tra le donne che hanno appena partorito.
D.B.: D’altra parte, la lontananza rispetto a qualcosa che non ti appartiene ti costringe maggiormente a immedesimarti per cercare di entrare dentro quello che non capisci e che in nessun modo potrebbe far parte di te. Un uomo in questo senso è forzato a scardinare la sua natura per entrare in un inconscio che normalmente non gli potrebbe appartenere. Solo a quel punto siamo riusciti a raccontare la storia di Anita, che è la storia di tante altre donne, con un’onestà nuova.
Il film è costellato di miti dell’antica Grecia. Su tutti, quello di Tiresia sembra ritornare più volte, come a dover rendere il più chiaro possibile un invito agli uomini a capire cosa significhi essere donna.
D.B.: è proprio così. Ma Tiresia rappresenta anche noi scrittori, sceneggiatori ma anche i registi. Al di là del mito delle profezie, Tiresia è stato costretto a vestire la carne di una donna per un periodo di tempo abbastanza lungo da fargli riuscire a comprendere la realtà dell’umanità. Questo è quello che siamo stati costretti a fare noi. Il mito antico, sempre così attuale, è quel ponte, quello strumento che permetterebbe alle persone di capirsi di più tra loro, mettendoci gli uni nei panni degli altri, con l’anima e non solo con l’intelletto.
Questo dell’incontro è uno dei temi principali del film. Come si coniuga il tema degli antichi greci con un contesto tanto privato come la storia di Anita?
D.B.: Si prestavano tantissimo per dei raccordi tematici e narrativi. La Sicilia è una terra tradizionalmente legata all’antica Grecia e anche questo è il racconto di una maternità e di un’origine diversa da quella che pensiamo di avere. Ma volte un figlio non ha bisogno di un’altra identità, ma di prendere la consapevolezza delle proprie radici su cui costruire qualcosa di personale.
S.P.: E questa assonanza è la stessa del tema dell’immigrazione portato avanti dal personaggio di Nino Frassica – lo zio Luigi – che vuole girare un documentario sugli immigrati: ogni diverso, ogni straniero che arriva in una nuova terra si trova di fronte a una madre che non è in grado di accoglierli, magari per paura, per diversità, per incapacità. In modo nascosto rappresenta anche quello un parallelo con la vicenda della protagonista.
Anche l’ambientazione è tutto uno scontrarsi: il paese arido e il mare a cui Anita torna sempre. L’ambientazione era già data nel soggetto o è stata sviluppata dopo secondo questi criteri?
S.P.: La location era uno dei punti fermi. Sapevamo che il film si sarebbe svolto in Sicilia. Il mare che è quell’incontro con noi stessi, quel tuffo nell’inconscio e ritrovamento di noi stessi. Dopo tutto l’acqua comunque è un elemento che riporta al grembo materno e quindi a quella sensazione di protezione e di preludio alla vita. D.B.: Non a caso prima di venire al mondo “si rompono le acque”, e il momento in cui Anita si tuffa in mare è un momento per lei di rottura, ammettendo i suoi problemi e soprattutto scegliendo di affidarsi all’aiuto di uno psicologo. È un momento di rinascita, di consapevolezza, di ritorno alle proprie radici e alla condizione di figlia, essenziale per comprendere che per diventare madre va abbracciato in pieno un ruolo che spesso può mettere preoccupazione e ansia.
Nino Frassica è un volto storico della televisione italiana, eppure è u personaggio completamente sui generis; un attore capace di raggiungere il grande pubblico collocato nel contesto decisamente poco nazionalpopolare di un film indipendente. Come avete lavorato sul suo personaggio e come siete riusciti a integrare la sua ironia paradossale, che è ancora tangibile nel film?
S.P.: Volevamo la verità anche nella sua interpretazione del personaggio di Zio Luigi, mantenendo però il suo registro unico e trasferendolo in un contesto non tanto drammatico quanto realistico. Nino Frassica smorza la drammaticità della storia senza però cadere nel comico, grazie a quell’ironia che deve esserci sia al cinema che nella vita
D.B.: È stato davvero bravo. Da parte nostra abbiamo cercato di aiutarlo nella scrittura, ma la verità è che ci ha messo tanto del suo, non è stato caricaturale, ma pieno di sfumature e sfaccettature: lo spettatore ci crede proprio perché è una persona di cui cogli l’ironia, mai fine a se stessa, ma che porta dentro sé una carica emotiva sottotestuale vera, forte, sincera anche nella semplicità. In qualche modo Nino/Luigi rappresenta il filo che unisce il cliché di paese a una mentalità in realtà più aperta, più ampia, colta in quanto esperta della vita.
È stato difficile scrivere un film con un questo tema nel contesto del cinema indipendente?
D.B.: È stato sicuramente molto difficile. Il tema stesso è un tema difficile in cui il rischio di fare un dramma melenso e pesante è dietro l’angolo, come anche la prospettiva di fare un film autoriale, intellettuale, clinico, che poi in realtà non racconta nulla perché non riesce a entrare nell’intimità delle vicende e nel cuore dei personaggi. Rendere appetibile un lavoro con questo tema di fondo, rispetto ai tanti generi che escono al cinema oggi, è una sfida notevole. Ma ci sentiamo di dire che, con tutte le inesattezze che possa avere un’opera prima, il film è riuscito perché ognuno a suo modo ha fatto il possibile, con quella generosità che solo una madre può avere. Se è vero che il cinema è un’arte di gruppo, per quanto ci riguarda dopo questa esperienza possiamo dire che è anche un’arte materna. Ognuno ha saputo caratterizzare e fecondare questa vita che è nata e ci ha sorpresi tutti.
Ninna Nanna è uscito nelle sale italiane il 29 giugno con distribuzione Plumeria Film. Qui potete leggere la nostra recensione.