Ci sono un paio di cose che bisogna riconoscere a Damon Lindelof: la perseveranza e il coraggio; dopo le pesanti critiche ricevute per il finale di Lost (culminate con il mea culpa nel 2013 da parte dello stesso sceneggiatore in seguito agli sfottò dei fan di Breaking Bad su Twitter), non tutti sarebbero stati capaci di riprendersi da una batosta del genere. La carriera di Lindelof, terminato lo show ABC, continuò a subire battute d’arresto (definire Prometheus un’opera controversa è un eufemismo) fino a quando, nel 2012, non accettò di sviluppare per HBO una serie tratta dal romanzo mystery di Tom Perrotta, Svaniti nel Nulla; i detrattori più feroci ovviamente non persero tempo nel commentare velenosamente la scelta del network e, al termine della prima stagione di The Leftovers, non tutti erano convinti della bontà del progetto. Il canale via cavo più famoso al mondo però continuò a dare carta bianca al buon Damon e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti (un dato eloquente: la valutazione di 98/100 ottenuta da The Leftovers su Metacritic per la terza e ultima stagione). Perché di questo stiamo parlando: il prodotto HBO è il riscatto artistico e professionale di uno dei talenti più cristallini della televisione americana.
L’incipit di The Leftovers ha un’impostazione che ricorda molto i romanzi di José Saramago.
In un giorno come tanti (precisamente il 14 ottobre) all’improvviso scompare il 2% della popolazione mondiale (all’incirca 140 milioni di persone); la serie, ambientata tre anni dopo il tragico evento nella cittadina immaginaria di Mapleton, racconta le vicissitudini di alcuni personaggi che cercano in tutti i modi di reagire all’Improvvisa Dipartita (né la scienza né la religione riescono a dare una spiegazione logica all’episodio). La Dipartita però è solo l’espediente narrativo di partenza perché, proprio come faceva il geniale romanziere portoghese, Perrotta e Lindelof non vogliono risolvere il mistero che aleggia attorno a questo caso ma analizzare il comportamento umano in una situazione ai limiti dell’assurdo.
All’inizio lo show ci ha messo un pò di tempo ad ingranare, specialmente nella prima stagione.
Il tema centrale di The Leftovers è indubbiamente quello dell’elaborazione del lutto ovvero rappresentare il modo in cui le persone reagiscono, a livello individuale e collettivo, ad un forte trauma psicologico. Lindelof, giocando con il legame sottile che unisce spiritualità e realtà (come già aveva fatto con Lost), ci rende partecipi del dramma vissuto da una piccola comunità che simboleggia, su piccola scala, la fragilità ma al tempo stesso la grande forza dell’umanità nel fronteggiare una grave crisi. Bisogna dire che lo show ha faticato ad entrare a pieno regime (soprattutto nella prima stagione) perché all’inizio non si riusciva a capire del tutto dove The Leftovers volesse andare a parare: la sua narrazione non convenzionale e, in alcuni frangenti, antitelevisiva non è certamente adatta ad una platea mainstream. Le vicende di Kevin (Justin Theroux) e Laurie Garvey (Amy Brenneman), Nora Durst (Carrie Coon), Matt Jamison (Christopher Eccleston) e Meg Abbott (Liv Tyler) non coinvolgevano completamente il pubblico (concentrato maggiormente sul lato mystery della serie); tuttavia, negli episodi finali della prima annata e, soprattutto, nella splendida seconda stagione (la migliore dello show) Lindelof ha corretto il tiro mostrando il vero volto di The Leftovers: un melodramma surreale e originalissimo che trascina lo spettatore in una delle esperienze televisive più viscerali ed emozionanti degli ultimi anni.
La terza stagione, appena conclusasi su Sky Atlantic, ci regala un finale perfetto per tono e compostezza.
Il grande cineasta Luis Buñuel, in occasione di un’intervista rilasciata nel 1962 al Festival di Cannes, fece queste importanti riflessioni: “Non riesco a capire l’ossessione che alcuni hanno per dare una spiegazione razionale a immagini spesso gratuite. La gente vuole sempre la spiegazione di tutto”. Certamente Lindelof non è né Buñuel né Lynch ma ha imparato una lezione dai due maestri: quando si raccontano particolari storie, in alcuni casi dare spiegazioni è perfettamente inutile ai fini della trama (se non addirittura dannoso) perché c’è il rischio di depotenziare l’impatto emotivo dell’opera. Nella première di quest’anno lo sceneggiatore, con il suo team di autori, ha nuovamente gettato fumo negli occhi dei telespettatori facendo credere che lo show prendesse una direzione quasi cristologica (Kevin Garvey novello Messia che, per salvare il mondo, si accolla i dolori e le sofferenze dell’umanità) ma, come c’era da aspettarsi, le carte in tavola sono state nuovamente rimescolate per arrivare al vero obiettivo di The Leftovers: mostrare come la vita degli uomini vada avanti anche dopo una tragedia immane. La scelta di dedicare molti degli episodi di questa final season ad alcuni singoli personaggi (come ad esempio Matt, Laurie e il padre di Kevin) risponde ad una sola logica, quella di creare una connessione empatica tra chi guarda lo show e i characters principali che cercano (ognuno a modo suo) di lasciarsi definitivamente alle spalle il traumatico passato. Un discorso a parte merita poi il series finale, il bellissimo epilogo che racchiude l’essenza della creatura di Lindelof: pur senza darci tutte le risposte, lo showrunner chiude nel migliore dei modi le storylines dei due personaggi più amati della serie, Nora e Kevin. La puntata si apre con Nora (una straordinaria Carrie Coon) che, per raggiungere i figli scomparsi, è disposta a fare lo stesso “viaggio” degli Scomparsi (all’interno di una macchina che dovrebbe portarla in un’altra dimensione). Da qui ci troviamo improvvisamente catapultati nel futuro, dove vediamo la coppia che, dopo tanti anni, si ritrova in Australia e, nonostante Lindelof cerchi di depistarci, alla fine rinasce la love story tra i due, con Nora che racconta la sua esperienza: la nuova dimensione esiste, abitata da pochissime persone; qui la donna ritrova i figli che si sono ricostruiti una vita (con dei nuovi genitori) e, per non spezzare il loro equilibrio ritrovato, decide di tornare indietro e rifugiarsi in Australia. Alla fine del racconto, Kevin crede alle sue parole e, come nelle migliori storie d’amore, abbiamo il classico lieto fine. Il punto è questo: Nora dice la verità a Kevin? Considerando che noi abbiamo ascoltato solo il suo racconto, non sappiamo se il viaggio è effettivamente avvenuto o no perché non l’abbiamo visto. Qui possiamo solo fare delle congetture, credere a ciò che dice (come fa il personaggio interpretato da Theroux) oppure no. Ma alla fine questo non importa: i due, nuovamente assieme, decidono di interrompere il loro personale calvario e di voltare definitivamente pagina perché sono giunti all’ultima fase del processo di elaborazione del lutto, l’accettazione. Sicuramente la scelta di Lindelof può far storcere il naso a qualcuno ma il finale è assolutamente perfetto.
Pur essendo a tutti gli effetti un prodotto di nicchia The Leftovers è probabilmente l’opera più riuscita dello showrunner statunitense, che da questa esperienza ne esce rafforzato; la sua immagine ne ha tratto così tanto giovamento che, secondo le ultime indiscrezioni, starebbe sviluppando l’adattamento televisivo di Watchmen proprio per HBO. Se il progetto dovesse andare in porto Lindelof avrebbe tra le mani una delle serie televisive più attese e ambiziose dei prossimi anni, prendendosi in questo modo una bella rivincita.