Capita spesso nei film e nelle serie (spessissimo proprio in Game of Thrones) che un messaggero si palesi dicendo «Ho notizie buone e cattive», e che qualcuno gli ordini «Dimmi prima le cattive». Sarà anche la nostra strategia.
La première dell’attesissima settima stagione di Game of Thrones soffre per forza di cose dello stesso male che ha afflitto le première di ogni singola stagione passata, e cioè della cosiddetta “sindrome da riassunto delle puntate precedenti”. In alcune scene i suoi sintomi sono più lievi, o almeno camuffati meglio; in altre sono così evidenti da rendere didascaliche e lente anche scene magnificamente girate e di considerevole impatto emotivo.
Tale sindrome è evitabile? Forse. In che modo? Difficile dirlo. Ci sono tante di quelle trame da riprendere, tanti di quei puntini in sospeso da riallacciare con i nuovi archi narrativi, che un inizio “in medias res” rischierebbe di mandare in confusione anche alcuni tra i fan più accaniti.
Ecco; riferita la brutta notizia, possiamo pure passare alle belle notizie. Perché la sindrome da riassunto delle puntate precedenti è davvero l’unica pecca in un episodio magistrale. Forse proprio per questo la si avverte tanto: una piccola ma incisiva nota stonata che di tanto in tanto salta fuori in una splendida sinfonia.
SI INIZIANO A TIRARE I REMI IN BARCA
Il montaggio procede carico di attesa ma lento, come se i ghiacci che vediamo imperversare sullo schermo ne attanagliassero lo scorrimento, ed è una lentezza violenta, che ci permette di immergerci di nuovo in questo mondo dal quale ormai manchiamo da più di un anno, e che troviamo molto più buio, freddo, nero e pericoloso di come l’abbiamo lasciato.
Si inizia da un prologo emotivamente forte sul quale non riveleremo nulla, ma che rende da subito ben chiare le intenzioni degli showrunner: Martin ha fatto un fiore all’occhiello della sua abilità nel creare attese nei suoi lettori e poi frustrarle o trascinarle per interi romanzi, creando una tensione perpetua che, nei primi capitoli della saga, risultava una mistura geniale ed esplosiva, ma che andando avanti, si è rivelata spesso un fardello difficile da gestire.
Ma questi non sono i romanzi: questa è la serie TV, ed è inequivocabilmente giunta ai suoi capitoli conclusivi. Si tirano i remi in barca, signore e signori. Talvolta addirittura in modo sbrigativo, ma è il tributo da pagare per una storia che, in fiumi e fiumi di pagine fedelmente trasposte sullo schermo, si era appesantita ben oltre i limiti del ragionevole, e che ora ha bisogno di scrollarsi di dosso un po’ di quel peso inutile.
L’INVERNO È ARRIVATO, MA FORSE ANCHE UN PO’ DI OTTIMISMO
I personaggi tornano ad agire davanti ai nostri occhi come vecchi amici, ma su ognuno di loro grava una consapevolezza terribile: il tanto paventato inverno sul quale gli Stark ci hanno ammoniti per sei stagioni è finalmente arrivato. Non tutti gli attribuiscono lo stesso significato, ma ciascuno nell’ottica dei propri interessi e delle proprie percezioni, si adopera per sopravvivergli.
Questa è la sensazione che emerge nitida da questa puntata 7×01 di Game of Thrones, intitolata Dragonstone: un senso di minaccia globale latente che va oltre le ininterrotte guerre e gli interminabili giochi di potere tra casate. C’è qualcosa di più nero e pericoloso che incombe anche sulle teste di quelli che non se ne rendono conto, ed è interessante notare come gli sceneggiatori abbiano colto questo spunto per mostrare un Westeros diverso dal cumulo di fango, violenza e cattivi sentimenti che abbiamo visto fin’ora. Nella premiere della settima stagione de Il Trono di Spade c’è tanta paura, tanta tensione, ma c’è anche spazio per l’ottimismo, per la generosità, per qualche canzone, addirittura, e forse anche per il rimorso per qualche brutta azione compiuta in passato.
BRILLANO LE DONNE E COLPISCE IL MONTAGGIO
Gli attori sono ormai padroni dei propri personaggi, ma se non si nota una reale evoluzione interpretativa in personaggi come Jon, una menzione d’onore va fatta per le bravissime ragazze di casa Stark: Sophie Turner e Maisie Williams ci presentano due giovani donne ormai sicure di sé, indurite dalle atrocità della loro vita, ma senza indulgere in sentimentalismi o in una recitazione da cattivi da operetta.
Straordinariamente bravo è anche John Bradley: il suo Samwell Tarly ha ormai uno spessore narrativo di primissimo livello, e in questa puntata lo vedrete protagonista di una sequenza dal montaggio mai visto prima in Game of Thrones, una scelta ardita magnificamente in linea non solo con il personaggio, ma anche e soprattutto con la splendida interpretazione che Bradley ha saputo darne.
Malgrado la “sindrome” cui abbiamo accennato in apertura, questa première è un gioiello pieno di promesse meravigliose e terribili, una “puntata zero” che fissa l’asticella ancora un po’ più in alto. L’inverno è proprio arrivato, e se gli showrunner svilupperanno queste premesse, sentiremo davvero un gran freddo.