La USS Indianapolis è un incrociatore pesante della Marina americana. Nel luglio del 1945, durante la Seconda guerra mondiale, al comandante della nave Capitano Charles Butler McVay venne affidato il compito di trasportare fino all’isola di Tinian l’uranio e l’involucro della bomba atomica che poi sarebbe stata sganciata su Hiroshima. La USS Indianapolis, che aveva evitato per una serie di circostanze puramente fortuite l’attacco giapponese a Pearl Harbor, non ebbe la stessa fortuna il 30 luglio del 1945 quando, di ritorno da Tinian, in navigazione al largo del Mar delle Filippine, fu intercettata da un sottomarino giapponese che la colpì ripetutamente con i siluri in dotazione della Marina Imperiale Nipponica e la fece affondare in soli dodici minuti. L’incrociatore del capitano McVay aveva partecipato con successo a varie operazioni di guerra ma le sue caratteristiche richiedevano normalmente la scorta di altre piccole navi-radar in grado di rilevare la presenza di sottomarini nemici consentendo così alla USS Indianapolis di localizzarli e attaccarli. Durante la missione nell’isola di Tinian, con rigidi protocolli di segretezza ed eseguita secondo gli ordini provenienti direttamente dalla Casa Bianca, la nave fu lasciata senza scorta nella speranza che fosse scambiata per un mercantile. Cosa che riuscì fino a quando non incrociò il sottomarino giapponese 1-58 che la distrusse.
Il regista nato in Messico e naturalizzato americano Mario Van Peebles porta sul grande schermo una storia vera e non molto conosciuta al grande pubblico: su 1196 membri di equipaggio, solo 317 sopravvissero, il resto fu attaccato e ucciso dagli squali e molti impazzirono per disidratazione. Il capitano Charles Butler McVay, tra i sopravvissuti, una volta rientrato in patria subì un processo con le accuse di non aver ordinato prima l’abbandono della nave e di non aver scelto una rotta ‘a zigzag’ per aver reso più difficile l’attacco nemico. La corte chiamò a deporre anche il comandante del sottomarino giapponese Mochitsura Hashimoto, la cui testimonianza a favore del suo collega statunitense non servì ad evitargli la condanna. L’onta subita da parte della giustizia americana e soprattutto il linciaggio morale ad opera dei familiari dei giovani marinai morti in mare furono alla lunga pesi insopportabili per il capitano McVay che si tolse la vita nel novembre del 1968. Ma la sua figura e la correttezza del suo operato vennero poi accertate dagli storici e l’uomo fu riabilitato durante la presidenza Clinton.
USS Indianapolis (titolo originale USS Indianapolis: Men of courage) ha il grande merito di rappresentare una storia vera, purtroppo drammatica, ma certamente interessante e avvincente. Ha il secondo grande merito di raccontarla dall’inizio alla fine, così che lo spettatore possa chiudere il cerchio sul clima sociale che cambia nei vari periodi in cui si succedono i fatti e sui vari personaggi, ma dal punto di vista cinematografico è altrettanto certamente un’occasione mancata per fare di una storia con tutti gli “ingredienti” al punto giusto anche un grande film. Le pecche principali stanno nella sceneggiatura e in un girato che non dà mai la sensazione di volere fare qualcosa che vada oltre il manuale. Mario Van Peebles, che fino a questo momento non era ricordato per opere epiche, avrebbe avuto l’occasione di giocarsi tutte le sue carte e porsi all’attenzione del grande cinema e del grande pubblico. Ha potuto disporre di un budget di oltre 40 milioni di dollari che gli hanno consentito grandi margini di manovra per valutare e scegliere al meglio, ma a quanto pare anche in patria, dove peraltro il senso di appartenenza e la storia dell’eroe prima bistrattato poi riabilitato sono temi sensibili, è stato accolto con una certa freddezza e il botteghino ha versato lacrime amare.
Van Peebles ha voluto abbracciare nel plot troppe storie che forse gli sono sfuggite di mano sia nella costruzione che nel montaggio. Inoltre ogni risvolto futuro della storia viene in qualche modo velatamente (ma neanche tanto) “annunciato” da qualche personaggio minore, togliendo in tal modo allo spettatore sorpresa e pathos. Quel pathos che una vicenda così drammatica e singolare ne avrebbe in abbondanza già di per sé. Ne derivano oltre due ore di film. Una lunghezza decisamente esagerata, considerando alcune parti abbastanza inutili e l’ utilizzo di cliché al limite dell’abuso (uno per tutti: l’uomo in mare che nella disperazione e dopo 48 ore di naufragio suona l’organetto come scacciapensieri e racconta barzellette ai compagni di sventura). L’effetto squalo perlopiù suscita atmosfere quasi sempre già viste nei film legati al filone piuttosto che incentrarsi sul terrore e sulle sofferenze dei marinai. Dal punto di vista degli effetti speciali potremmo cavarcela con un “c’è di meglio”. Infine il protagonista: Nicolas Cage. Un attore che ormai conosciamo a memoria in ogni suo gesto o sfumatura: con USS Indianapolis su di lui non sono pervenute notizie nuove. La sua recitazione ha quasi sempre quel po’ di stereotipato ma la pagnotta alla fine la porta a casa. Dà il meglio di sé, così come tutto il film, nella parte finale, quando la pellicola non distoglie lo sguardo dagli eventi giudiziari e personali del capitano Charles Butler McVay e così attore e regista sono “costretti”, per così dire, a stare sul pezzo.
Ora la USS Indianapolis “sbarca” in Italia ed è un lavoro senz’altro da vedere, magari in un’arena dove l’effetto oceano mitigherà l’afa estiva.
USS Indianapolis: Nicholas Cage tra II Guerra Mondiale e squali (recensione)
Nicholas Cage è il protagonista del film che porta in scena la peggiore tragedia navale della II Guerra Mondiale. Dal 19 luglio in sala con M2 Pictures.