Da tempo ormai, l’industria dei videogiochi ha subito una metamorfosi da mera forma di intrattenimento per target specifici a vera e propria colonna portante della cultura pop, basti guardarne l’impronta sulla nostra società, la sua influenza sulla narrativa moderna (e viceversa) e le infinite trasposizioni di videogiochi a media di ogni genere.
Nonostante la lunga lista di tentativi (più o meno validi) di portare su pellicola storie originariamente nate su console, sembra permanga una diffusa difficoltà nel catturare a pieno lo spirito e gli elementi necessari per una produzione funzionale e di buona qualità, indipendentemente dal budget e da chi si trovasse dietro la cinepresa (basti pensare a film come Assassin’s Creed e Warcraft: L’inizio, che, sulla carta, promettevano più che bene). Ciononostante, se catturare con un’istantanea di non più di 150 minuti quello che un videogioco racconta in anche decine di ore è sicuramente un compito arduo, farlo con una serie di più episodi può rivelarsi un’impresa più fattibile, e allo stesso modo, con un prodotto d’animazione piuttosto che in live action, si possono più facilmente riprodurre le componenti estetiche originali per creare un senso di familiarità e affezione maggiore fra l’opera che si va a creare e la sua controparte videoludica. È proprio per questo motivo che, fin dai primi momenti, la scelta della piattaforma di streaming Neflix di creare una serie animata basata sul franchise Castelvania della Konami, è sembrata perfettamente ragionevole e meritevole di interesse, non solo per i fan della saga, ma anche per lo spettatore medio.
Con questa mossa, Netflix’s Castelvania ha attirato su di sé l’attenzione di tutti, non solo come adattamento di un prodotto famosissimo e amato da molti, ma come ennesima sfida della piattaforma di streaming, ora alle prese con una serie d’animazione realizzata in maniera completamente indipendente (a differenza di prodotti come Trollhunters, creati insieme a case d’animazione famose), riuscendo a creare un’opera valida, fedele all’originale e affascinante, ed ora che la serie è uscita possiamo finalmente tirare le somme: Castelvania è la trasposizione videoludica definitiva e ulteriore controprova dell’abilità di Netflix nel creare prodotti di qualità per lo streaming online? La risposta, purtroppo, non è propriamente positiva.
Prendendo in prestito materiale da più capitoli della saga (in particolare, Castlevania III: Dracula’s Curse), Netflix’s Castelvania narra la storia di un Dracula disgustato dal genere umano e intento a proseguire le sue ricerche chiuso nella sua torre d’avorio, questo fino all’incontro con la sua futura moglie, una dottoressa in cerca di sapere e conoscenza da mettere al servizio del prossimo. Accusata di stregoneria, la donna viene bruciata come strega dalla diocesi della Valacchia, cosa che porta un ormai quasi umano Dracula a tornare un mostro spietato in cerca di vendetta. Ad un anno esatto dall’esecuzione della sua amata, Vlad scatena sulla popolazione l’esercito degli Inferi, portando distruzione e morte per tutto il paese. Accerchiata su due fronti da dei demoni assetati di sangue e da una chiesa opprimente che ripudia ogni aiuto o suggerimento esterno, la popolazione si ritrova senza nessuno che sia in grado di difenderla, portandola a trovare il suo salvatore in un antieroe disilluso come Trevor Belmont, ex-nobile e cacciatore di mostri che troverà in questa nuova sfida la sua redenzione ed il suo vecchio io.
Fin dai primi minuti, Castelvania dimostra una componente grafica estremamente debole, con animazioni poco fluide, disegni non all’altezza delle aspettative ed espressività dei personaggi deludente, e anche se la narrazione visiva della serie viene spesso salvata da una regia ben calibrata del quasi sconosciuto Samuel Deats e un’ottima gestione delle ambientazioni (ben costituite, come la maggior parte degli elementi statici), quest’ultime ripiegano presto sul microcosmo delle campagne e cittadine medievali piuttosto che sull’affascinante castello del conte Dracula, togliendo alla serie una delle sue componenti più intriganti e qualunque possibile fascino evocativo.
Il character design, sempre ad opera di Samuel Deats, varia dal buono al mediocre e, sebbene qualche scena d’azione ben realizzata, la creatività si muove su uno storyboard lento e spesso mal progettato, cosa sospendente se considerato che a curare la sceneggiatura c’è un vero e proprio guru del fumetto americano e ormai da anni al lavoro su opere animate come Warren Ellis, la cui scrittura risente di fin troppi problemi.
La narrazione visiva si dimostra debole a causa di animazioni poco fluide e, probabilmente, un budget molto risicato, e fallisce nell’intento di sviluppare a dovere il soggetto, tanto da dover ricorrere all’aiuto di dialoghi soporiferi e zeppi di dettagli che sarebbero stati raccontati meglio attraverso delle immagini, magari rendendo più credibili e naturali i personaggi a cui sono affidati. Parlando dei protagonisti della storia, Dracula e Trevor Belmont sono due personaggi potenzialmente affascinanti e che si contrappongono perfettamente, creando insieme una perfetta sfumatura fra bene e male come concetti non assoluti. Dracula è un mostro che scopre l’umanità grazie all’amore di una donna, la stessa umanità che gliela toglie ingiustamente a causa della propria ignoranza e diffidenza, portandolo a tornare un mostro in cerca di vendetta. Trevor Belmont invece è un uomo che scopre il nichilismo e la disumanità a causa dei suoi simili, ma che ritrova la sua identità grazie alla lotta contro i mostri. Questo parallelo fra le due figure centrali della storia è però l’unico vero successo e miglioramento della serie rispetto alla sua controparte videoludica (che ritraeva una visione del bene e del male più antiquata e manichea), il resto infatti non riesce a convincere in nessun punto. Da rimproverare alla serie è anche la gestione dei tempi, con un primo episodio puramente introduttivo (l’unico in cui vediamo Dracula), un secondo e terzo dimenticabili e dal ritmo lento e un quarto ed ultimo episodio che cerca di concentrare tutta l’azione mancante nei due precedenti, rimanendo comunque lento e appena al di sopra del mediocre, quasi a dimostrazione di come questa serie cerchi di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, catturando l’attenzione degli spettatori quanto basta per giustificare la produzione di una seconda stagione.
Alla base di una produzione di livello così mediocre c’è probabilmente uno sviluppo troppo breve e una produzione con un costo troppo basso per una serie d’animazione come questa; fattori che, con il successo della prima stagione, potrebbero venir risolti per la prossima (già annunciata poco dopo l’uscita della prima), ma con una data d’uscita segnata per il 2018 e ben il doppio degli episodi previsti, la speranza di vedere dei miglioramenti sembra sempre più concreta.
Piccola menzione per l’audio italiano, che presenta dei problemi nel mixing e nel livellamento dei volumi, ma se questo potrebbe indurvi a preferire quello originale, sappiate fin da subito che il voice acting americano è decisamente peggiore rispetto a quello di casa nostra.
In definitiva, Netflix’s Castelvania è una produzione di basso livello, con poca anima e ambizione; la brevità della serie non giustifica la sua incompletezza o il poco spessore della maggior parte dei personaggi, perché, nonostante il breve tempo concessogli, abbondano momenti morti e logorroici. Se siete fan della saga o non avete particolari aspettative, Castelvania potrebbe fare al caso vostro, ma il nostro consiglio è di limitarvi al primo episodio, comunque piuttosto valido ed interessante.
Castelvania: su Netflix il Dracula dei videogame (recensione)
Netflix produce un breve adattamento animato del celebre videogame anni '80, in cui si racconta la sfida tra un cacciatore di mostri e il re dei vampiri.