All’annuncio di Ozark, il progetto aveva già tutta la nostra attenzione. Non solo perché la star principale sarebbe stata quel Jason Bateman che abbiamo imparato ad amare nei panni di Michael Bluth nella serie comedy di culto Arrested Development, ma anche perché l’ideatore di Ozark è Bill Dubuque, già sceneggiatore di pellicole a vocazione trasversale come The Judge, The Accountant e Quando un padre.
Ora che abbiamo visto i dieci episodi da circa un’ora, possiamo tirare le somme e dire che dell’impianto efficace ma un po’ ruffiano del cinema di Dubuque non c’è traccia, perché Ozark è un thriller rarefatto, narrativamente elegantissimo e – soprattutto – nero come la pece.
UNA FAMIGLIA ‘PRIGIONIERA’ E IL COMPROMESSO MORALE
La storia segue le vicende di un contabile di Chicago, Marty Byrde (Jason Bateman), che, dopo esser stato coinvolto in uno sgarro a un potentissimo narcotrafficante, viene risparmiato a patto di trasferirsi in una sperduta comunità sulle rive del nebbioso lago Ozark, dove dovrà provare a guadagnarsi la sopravvivenza ripulendo 5 milioni di dollari del boss in un tempo decisamente breve. Byrde però ha una famiglia, quindi dovrà costringere a trasferirsi con lui, da un giorno all’altro, i due figli Charlotte e Jonah e la moglie Wendy (Laura Linney), dalla quale sapeva di essere tradito.
La premessa del soggetto è sicuramente interessante e già solo l’idea dell’improvviso trasferimento forzato di una famiglia borghese e in piena crisi in un contesto rurale basterebbe a garantire un buon potenziale. Come è facile supporre, però, riciclare 5 milioni di dollari nel bel mezzo del nulla non è facile e quindi assisteremo a una progressiva e difficile discesa del protagonista in un mondo di compromessi morali, violenza e ricatti, nei quali dimostrerà di sapersi destreggiare discretamente ma in cui non sarà mai a proprio agio.
IL PARAGONE CON ALTRE SERIE E IL SENSO DI PERICOLO OPPRIMENTE
L’idea di un uomo mite che si ritrova costretto da cause di forza maggiore a intraprendere una carriera criminale non è certo innovativa: il precedente più celebre – cui durante le prime puntate sarà impossibile non pensare – è ovviamente Breaking Bad, la serie AMC di Vince Gilligan che ha regalato la fama a Bryan Cranston.
Nonostante i parallelismi con Ozark siano inizialmente numerosi, emergeranno presto una serie di differenze che renderanno superfluo il paragone: mentre lo show su Walter White, nell’assolata cornice del New Mexico, manteneva soprattutto nelle prime stagioni una certa ironia, un ritmo sostenuto e una buona dose di azione, Ozark sembra infatti andare in direzione diametralmente opposta. Le atmosfere sono assolutamente cupe e crepuscolari, come sottolineato da un color grading livido spesso fin troppo spinto, e una narrazione dai tempi piuttosto lenti e tutt’altro che ruffiana tende a dipingere costantemente il senso di paura di una famiglia in trappola. Una percezione del pericolo onnipresente, che non punta sull’adrenalina ma sul senso di oppressione.
Il passo lento degli eventi, la tensione nelle dinamiche familiari, l’approccio pessimista e una location naturale che la fa da padrona sono tutti elementi che piuttosto riportano alla mente Bloodline, drama Netflix con cui Ozark ha numerosi punti in comune, nonostante la somiglianza non superi mai i livelli di guardia. Le sponde del lago Ozark, quella natura che sembra quasi opporsi con tutte le proprie forze all’inurbamento turistico, quel verde smorto e quelle acque ferme che sembrano stare lì a osservare sono una presenza tanto tangibile da assurgere quasi a un ruolo da protagonista (come succedeva alle Keys in Bloodline), relegando l’affannarsi dei personaggi a una dimensione quasi corale.
LA CONSACRAZIONE DI BATEMAN AD ATTORE A TUTTO TONDO
Jason Bateman, noto per i suoi ruoli comici, si è mosso spesso e con ottimo successo nei terreni della dramedy, ma difficilmente si è cimentato con ruoli drammatici tout court (unica eccezione l’ottimo The Gift di Joel Edgerton). Chiunque temesse la capacità di Bateman di reggere sulle proprie spalle un crime drama, tiri un sospiro di sollievo: forte di quell’aria da uomo normale che ne contraddistingue da sempre le parti e all’insegna della sua consueta misuratezza interpretativa, l’attore offre una performance credibile e solidissima, sospesa tra la rassegnazione di chi si vede impotente e la determinazione di chi vuole salvare la propria famiglia a ogni costo.
Al suo fianco una straordinaria interprete, la cui scelta (l’attrice è di qualche anno più grande di Bateman) offre anche un’interessante rottura con i cliché che vogliono sempre mogli giovani e particolarmente avvenenti. Il volto di Laura Linney, il cui nome non è tra i più popolari, è noto ai più soprattutto per pellicole come The Truman Show e Love Actually, ma la sua carriera è ricca di grandissime gratificazioni: essendo vincitrice di quattro Emmy, di due Golden Globe ed essendo stata tre volte candidata sia agli Oscar che ai Tony Award, il suo talento non è certo una sorpresa.
L’OTTIMA REGIA DI BATEMAN
Quel che però sorprende di Ozark è il talento di Bateman alla regia. Il protagonista è infatti dietro la macchina da presa per ben 5 dei 10 episodi, e nonostante avessimo già avuto modo di apprezzare le sue doti di direzione in La Famiglia Fang, la naturalezza e l’eleganza con cui lo statunitense guida l’azione ci stupiscono, dimostrandosi assolutamente degne di nota. Basterebbe l’ultimo episodio della stagione (che, non essendoci ancora un rinnovo, per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere un finale di serie) per dare un esempio di come andrebbe girata la conclusione di un ciclo narrativo. Rimangono aperte abbastanza linee da narrative da lasciare ampi margini di sviluppo futuri, ma anziché creare un climax scolastico da interrompere ex abrupto con un cliffanger, Bateman regala una chiusura ricca di emozioni e capace di gratificare senza facili espedienti.
In conclusione Ozark è una serie magnificamente confezionata e interpretata, cui bisogna concedere inizialmente un po’ di fiducia, ma che superato il confronto con gli illustri predecessori saprà appassionare, regalando pure qualche colpo di scena.