Se qualcuno chiedesse a Quentin Tarantino un elenco di registi italiani da cui ha attinto di più, senza ombra di dubbio Umberto Lenzi sarebbe in cima a quella lista. Classe 1931, figlio di un macellaio di Massa Marittima, Umberto Lenzi è stato uno dei primi autori di cinema in Italia a concepire il proprio mestiere di regista e autore al pari di quello di un artigiano di provincia: capace di generare un cinema che si arrangia e che non “butta via niente”, come il padre non buttava via le frattaglie delle carni macellate. Ma quello di Lenzi è anche un cinema provocatoriamente anarchico, che esplode in letture e sentenze politiche e che – come riuscirono a fare pochissimi altri negli anni ‘60-’70 – ha saputo rileggere l’Italia del boom disarticolando l’idea del progresso e del benessere metropolitano. Allo stesso modo di Luciano Biancardi (altro maremmano libertario amico del regista), che descrisse la decadenza della vita milanese con il romanzo La Vita Agra, Umberto Lenzi sfornò una serie di B-Movie ormai diventati cult assoluti dove la violenza e l’odio urbano venivano esplicitati in modo offensivo e rocambolesco: Milano odia (1974), Roma a mano armata (1976) o Napoli violenta (1976) sono solo alcuni dei titoli più conosciuti che hanno reso Lenzi un maestro indiscusso del genere poliziottesco.
La trilogia “antropofaga”
Cannibal Ferox, pubblicato in DVD da Mustang Entertainment e distribuito da CG Entertainment, appartiene invece alla trilogia “antropofaga” della sua cinematografia: sulla scia del successo di Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato, Lenzi iniziò una serie di lavori sull’immaginario degli horror “cannibali”, prima con Il paese del sesso selvaggio (1972), poi con Mangiati vivi (1980) e infine appunto con Cannibal Ferox (1981). Girato in lingua inglese e con un cast di fortuna (fra gli altri c’è anche l’attore porno Robert Kerman, già presente in Cannibal Holocaust) la pellicola viene ricordata come una delle visioni più crude e violente di sempre, passata alla storia per essere stata messa al bando in 31 paesi in giro per mondo e per almeno quattro scene che ancora oggi gridano allo scandalo: l’uccisione (vera) di un piccolo maiale, l’evirazione e lo scoperchiamento della calotta cranica di Giovanni Lombardo Radice e l’attrice Zora Kerowa appesa con i seni infilzati con degli uncini. Il pranzo, a base di brutalità, è servito.
Un pezzo proibito
Che Cannibal Ferox sia stata un’opera sapientemente progettata per diventare (come poi è diventata) un pezzo “proibito” del genere horror è fin troppo visibile nell’approssimazione della sua architettura filmica: una sceneggiatura sbrigativa, degli attori scarsi e poco motivati, riprese spesso realizzate frettolosamente. La stessa trama vede al centro una giovane studentessa (Serena Verdirosi) che si reca nella foresta amazzonica colombiana per sfatare il mito del cannibalismo come pratica fra le tribù di indios: una traccia narrativa fin troppo ingenua e pretestuosa che svela i veri intenti del film. Dall’altra parte Lenzi ha sempre dichiarato di non amare per niente Cannibal Ferox, anzi, con gli anni l’ha quasi disconosciuto: “È un film che io ho sempre disprezzato perché l’ho fatto per motivi alimentari; ero stato un anno fermo, cosa rarissima nella mia carriera (…) ed ero rimasto disoccupato”. Il fatto che Lenzi dovesse mangiare e che l’unico modo per farlo era girare un horror a base di cannibali è ovviamente un divertente paradosso ma al tempo stesso fa ben capire l’urgenza del regista nel voler girare a tutti i costi un horror di questo tipo.
Il Lenzi che divora sé stesso
Eppure, nonostante queste premesse, Cannibal Ferox riesce comunque a ritargliarsi, forse inconsapevolmente, una dimensione propria, esclusiva e autonoma rispetto ad altri cannibal movies. Se infatti è sempre presente, come in prodotti simili, una critica sociale su come gli occidentali e la loro violenza siano la vera causa del cannibalismo dei primitivi, l’emergenzialismo di Lenzi nel dirigere il film restituisce anche altri tipi di critiche, su tutte quella del voyeurismo dei fan per i film antropofaghi e la loro fame di scene gore. Dopotutto Cannibal Ferox, mostrando un orrore al limite del tollerabile, finisce per alzare il livello di sopportabilità dello spettatore, sfidando le morali della censura e facendosi felicemente bandire in quanto prodotto molesto e agghiacciante. Quello che fa Lenzi in realtà è creare un congegno tanto destinato a diventare feticcio quanto capace di prendere in giro i fanatici del genere, rivelando la morbosità di certe platee anni ‘80 e facendo emergere la vera legge della giungla di cui lui stesso è vittima e pasto sacrificale: quella del dover produrre un film indecente pur di “mangiare”. Non è un caso che il film cambi location in modo repentino passando dalla giungla amazzonica ai grattacieli di New York. Qui Lenzi ambienta alcune scene tipicamente gangsteristiche (collegate non perfettamente alla trama principale) che ricordano la sua stagione di poliziotteschi. Sono intermezzi infelici e mai realmente conclusi, come se Lenzi volesse sì rimanere ancorato alla giungla urbana ma fosse, alla fine, costretto a girare in Amazzonia. Un autore dunque che sta divorando sé stesso e il proprio cinema pur di sopravvivere a quella legge del mercato che lo vuole sul piedistallo dell’osceno e dell’insostenibile.