Per capire Dunkirk, nuovo lavoro del talentuosissimo Christopher Nolan (Batman Begins, Inception, Memento), basterebbe concentrarsi sulla colonna sonora efficacissima ma priva del minimo slancio melodico scritta dal pluripremiato Hans Zimmer e dai suoi assistenti. Anche in Dunkirk il compositore tedesco opta per una ripetitiva e risentita presenza ritmica martellante, neotribale e avara di slanci orchestrali (si pensi alla sfuggente soundtrack di The Dark Knight), ma questa volta quel beat incessante in continuo crescendo si sovrappone perfettamente all’essenza stessa del film di Nolan, in un connubio concettualmente impeccabile.
DUNKIRK: UN’ILLUSIONE SONORA È ALLA BASE DEL TUTTO
Che si tratti di un ansiogeno ticchettio di orologio (marchio di fabbrica di Zimmer), di un sordo battito cardiaco inarrestabile o di una qualsiasi variazione sullo spettro sonoro delle suddette suggestioni, non c’è una scena di Dunkirk in cui quel martellare senza soluzione di continuità abbandoni le immagini. Se i 106 minuti di durata sulla carta sembrano pochi, vi renderete presto conto che un’ora e tre quarti è il tempo massimo che le vostre orecchie (e il vostro cuore) potranno concedere a un commento musicale ultra-minimalista il cui scopo primario è aggredire lo spettatore in un intenso mix di adrenalina e stordimento, con una vocazione più vicina all’esperimento psicologico che all’esperienza musicale tradizionale.
A costruire uno stato d’ansia e coinvolgimento istintivo ininterrotto c’è però un’illusione sonora che, giocando con il nostro cervello, crea una tensione continua verso una risoluzione musicale che non arriva mai: questo strano ‘scherzo’ giocato ai danni delle nostre orecchie si chiama scala Shepard, dal nome dello psicologo che l’ha ideata. Questo canone eternamente ascendente, già usato da Bach ma anche dai Pink Floyd e dai Beatles, viene usato nella sua variante a transizione continua detta glissando di Shepard-Risset, e consiste nel ripetere continuamente e in loop una scala ascendente suonata su tre ottave in contemporanea. L’illusione che il tono salga continuamente crea una profonda sensazione di disagio dovuta alla gestalt uditiva (cioè al fatto che il nostro orecchio si aspetti naturalmente una ‘chiusura’ che non arriva), ed è costruita giocando con il volume e la gamma tonale di una scala: mentre l’ottava principale mantiene un volume costante, l’ottava più alta ha un volume in dissolvenza, mentre in modo speculare l’ottava più bassa viene suonata in assolvenza.
Nel cinema, questo espediente sonoro viene a volte usato in modo molto sommesso per sottolineare quasi subliminalmente la tensione emotiva di una particolare scena, ma la scelta di Nolan e Zimmer di farne la colonna portante del commento musicale di Dunkirk denota la natura stessa della pellicola: un’esperienza estrema, ma anche caratterizzata da un approccio assolutamente minimale.
LEGGI ANCHE: LO STRAORDINARIO SONORO DI DUNKIRK SPIEGATO NEL DETTAGLIO
IN DUNKIRK PER NOLAN CONTA SOLO L’ADRENALINA
C’è stata una fase della lavorazione di Dunkirk in cui Christopher Nolan aveva le idee tanto chiare sul film da volersi presentare sul set senza uno script. Emma Thomas, produttrice di Dunkirk e moglie del regista, ha poi riportato l’autore britannico con i piedi per terra e gli ha ricordato l’importanza del copione per tutti i suoi collaboratori, ma l’aneddoto la dice lunga sull’essenza stessa della pellicola.
Dunkirk quasi non ha dei dialoghi e lascia pochissimo spazio alle dinamiche narrative tra personaggi: nella sua volontà di raccontare un episodio specifico della II Guerra Mondiale, si concentra su quello che veramente conta in guerra al netto di ogni giudizio morale o storico: l’istinto di sopravvivenza e la paura. In tal senso, il contributo dato dal cast è ovviamente fondamentale, eppure a nessun interprete viene concesso di brillare: sono tutte pedine nelle mani di Nolan, e il minutaggio che viene riservato a ogni singolo attore è tanto esiguo da non dare tempo a nessuno di esprimere al meglio la propria arte.
Non si pensi però che questo sia un limite del film, perché il grande disegno del regista è quello di mettere in scena la natura profonda del campo di battaglia: in guerra gli uomini sono numeri, e così anche gli attori perdono le proprie peculiarità a vantaggio di un disegno più ambizioso. Professionisti come Tom Hardy, Mark Rylance, Cillian Murphy, Kenneth Branagh e l’ottimo Harry Styles (membro della boy-band One Direction, al suo debutto come attore) sanno dare un contributo fondamentale anche con poche pennellate, ma non aspettatevi di assistere a performance tradizionali, e immaginate piuttosto il lavoro fatto da Hardy in un’altra pellicola – pur diversissima – zeppa di azione e intrisa di adrenalina, cioè quel Mad Max: Fury Road che già lo vedeva protagonista.
LA STORIA VERA DELL’OPERAZIONE DYNAMO A DUNKERQUE
L’operazione Dynamo, conosciuta anche come miracolo di Dunkerque, fu un’iniziativa di evacuazione navale su larga scala messa in atto dagli Alleati tra il 27 maggio al 4 giugno 1940, dopo che le truppe inglesi e quelle franco-belghe vennero intrappolate sulla spiaggia di Dunkerque dalle unità corazzate tedesche, a seguito dello sfondamento del fronte sulla Mosa.
Christopher Nolan mette in scena tre storie in contemporanea: quella di un piccolo gruppo di soldati Alleati che cerca di abbandonare in ogni modo la spiaggia di Dunkerque, quella di un pilota inglese a corto di carburante che cerca di impedire alle forze aeree della Germania di sabotare l’evacuazione, e quella di tre civili che salpano dalle coste britanniche con un piccolo peschereccio (una di quelle che la Storia ci ha consegnato come le 700 piccole navi di Dunkerque) per correre in aiuto degli Alleati intrappolati oltre la Manica.
Le libertà creative che si prende Nolan sono molte: dalle livree degli aerei (modificate per rendere più comprensibile la storia a colpo d’occhio) a una Dunkerque deserta ma non distrutta (magnifica nelle tinte da seppia ricolorato di Hoyte Van Hoytema), dalla mancata menzione del fatto che la maggior parte dei pescherecci accorsi in soccorso fossero stati requisiti ai civili dai militari britannici alla reticenza sul ruolo dei Francesi nel rallentare l’avanzata dei Nazisti verso la spiaggia (ma anche sul fatto che i cugini d’Oltralpe fossero ben il 38% dei soldati evacuati).
Al netto di qualche inesattezza, che lo stesso regista non si fa scrupoli ad ammettere, quel che conta è che Dunkirk riesce in modo straordinario a rendere la confusione e la paura di una situazione apparentemente senza via d’uscita, nella quale migliaia di soldati non potevano fare altro che sperare inermi in qualcuno che li andasse a salvare mentre venivano falcidiati dalle bombe tedesche. Il tutto senza mostrare mai il nemico, che è una presenza incombente per tutta la pellicola pur restando sostanzialmente invisibile (fatta eccezione per pochi aeroplani).
UN MONTAGGIO CORAGGIOSO È IL MARCHIO DI NOLAN
In una pellicola fin troppo aderente ai canoni della realtà per la filmografia di Nolan, il regista trova comunque il modo di rivendicare il proprio marchio autoriale con un montaggio decisamente fuori dal comune. Le tre storie che si alternano nel corso del film infatti occupano tutte più o meno la stessa porzione di metraggio, ma si svolgono lungo archi temporali completamente diversi.
La tripartizione dei punti di vista in ‘terra’ (la spiaggia), ‘mare’ (il peschereccio) e ‘aria’ (l’aeroplano), ognuno dei quali dura rispettivamente una settimana, un giorno e un’ora, crea un meccanismo narrativo ad orologeria che non solo appaga nel suo disvelarsi, ma restituisce con grande originalità la soggettività del fattore tempo, così importante in battaglia come nella filmografia di Nolan. La coppia con l’editor Lee Smith è ormai più che consolidata, e il risultato è un trionfo della volontà del cineasta britannico.
In conclusione Dunkirk è un film di guerra straordinario e assolutamente fuori dal comune, incentrato completamente sull’unico fattore che veramente conta sul campo di battaglia – l’azione – e confezionato con una freschezza che rende giustizia alla reputazione di Nolan. Forse non la sua migliore pellicola, ma decisamente la più sorprendente: il regista che è riuscito a portare una profondità drammatica al cinecomic stavolta decide quasi di spogliare la guerra – esperienza spersonalizzante per sua natura – dal fattore umano. Incredibilmente, nel 2017 si può ancora dire qualcosa di originale con una pellicola bellica.
In sala con Warner Bros dal 31 agosto.