Quello del regista e sceneggiatore Edgar Wright è un nome che al grande pubblico non dice molto, ma che è capace di suscitare un moto di stima ed entusiasmo in chi conosca la filmografia di questo autore di commedie britannico ormai diventato di culto.
EDGAR WRIGHT: UN AUTORE DI CULTO TRA COMMEDIA E GENERE, ‘CACCIATO’ DALLA MARVEL
La nomea di Wright è legata inscindibilmente alla cosiddetta ‘trilogia del Cornetto‘ (nome scherzoso nato dalla presenza nei primi due film di una gag legata al celebre gelato della Algida), una serie di tre commedie sospese tra buddy movie, romantic comedy all’inglese e horror/action interpretate da Simon Pegg e Nick Frost, nelle quali Wright tesse una giocosa rete di citazioni di alcune importanti pellicole di genere, riproponendo in chiave comica un’ampia serie di cliché propri di quel tipo di cinema. Ad esser valso a Wright un riscontro quasi unanime – a dispetto del box office deludente – è stato però Scott Pilgrim Vs The World, film culto ad alta vocazione nerd del 2010 di cui hanno cantato le lodi Quantin Tarantino, Kevin Smith e Jason Reitman e che ancora una volta ripropone il binomio di commedia sentimentale e parodia del cinema di genere (questa volta supereroistico), il tutto con la consueta talentuosa regia del britannico.
Nonostante l’insuccesso legato alla produzione del cine-comic Ant-Man (di cui inizialmente Wright doveva curare regia e script e dal quale ha poi scelto di allontanarsi una volta che è stata ordinata ad altri la riscrittura della sceneggiatura), Edgar Wright torna ora con una nuova pellicola originale distribuita da Tristar/Sony e con un budget da 34 milioni: proprio il tipo di film che sperava di fare dopo Ant-Man e che temeva non avrebbe mai più girato a causa dei problemi insorti con la Marvel.
BABY DRIVER: LA FORMULA WRIGHT IN CHIAVE PIÙ ADULTA
Baby Driver (che da noi uscirà il 7 settembre ma che nel resto del mondo ha già incassato 175 milioni di dollari) è il film probabilmente più maturo di Wright e nonostante riproponga il mix di azione, genere e buoni sentimenti che caratterizza la filmografia del regista sin dagli inizi, sacrifica in parte i toni della commedia a favore di una latente malinconia che contribuisce a rendere Baby Driver una piccola perla cinematografica.
La storia è quella del giovane Miles (Ansel Elgort), detto Baby Driver (la scelta di un protagonista con questo soprannome già la dice lunga). Un vero asso della guida che, per saldare un debito contratto con un boss del crimine dai modi gentili (un perfetto Kevin Spacey, che abbiamo intervistato), è costretto a fare da guidatore in una serie di rapine da cui preferirebbe invece star lontanissimo. Miles è orfano sin da piccolo, quando in un incidente d’auto ha visto morire i propri genitori, e da allora è accompagnato da un persistente fischio nell’orecchio, che gli ricorda il dolore del passato e che fa di tutto per coprire ascoltando costantemente musica d’ogni genere. Per Miles le cose sembrano iniziare ad andare per il verso giusto: è vicino a ripagare il proprio debito, ha da parte abbastanza soldi per garantire una vecchiaia serena al padre adottivo non udente e ha una cotta per Debora (Lily James). Ovviamente la sceneggiatura si prenderà cura di stravolgere questo equilibrio provvisorio, dato che l’ultima rapina Baby Driver dovrà farla con la gang capitanata dal pericoloso e imprevedibile Bats (Jamie Foxx).
MENO PARODIA, TANTA COMMEDIA SENTIMENTALE, MOLTA PIÙ INTENSITÀ
Come in passato Edgar Wright aveva giocato – sempre su una base action – con l’horror, il poliziesco, la fantascienza e il cine-comic, stavolta si muove senza mezzi termini nel genere crime. Se però nei precedenti film il suo talento registico era a servizio di una parodizzazione senza compromessi, stavolta Wright decide (pur con il proprio inconfondibile stile) di prendersi relativamente più sul serio e confeziona gli elementi d’azione con straordinaria efficacia, tenendosi lontano per la maggior parte del tempo dalle sue tipiche gag.
Il cinema di Wright in Baby Driver si dimostra sorprendentemente più adulto e, forte di uno script solidissimo che stupisce non tanto con la storia (decisamente lineare) quanto con i suoi simbolismi, prende i sentimenti tipici della componente romantica e buddy dei precedenti lavori e li mette al servizio di un trattamento giocoso come l’entusiasmante colonna sonora, ma perennemente intessuto di solitudine e malinconia. In questo senso la capacità di divertire e intrattenere in modo intelligente di Wright resta inalterata, mentre la spontaneità tipica del suo linguaggio fa un salto in avanti a favore di una pluralità di livelli di lettura che conferma come Wright sia uno dei più importanti talenti viventi nel cinema di commedia.
QUANDO LA MUSICA CI FACEVA SENTIRE VIVI: UN FILM NEL FILM
In un’epoca in cui grandi sociologi e opinionisti della domenica non mancano – giustamente – di sottolineare come i social ci isolino e l’industria del divertimento ci anestetizzi, Edgar Wright sceglie di affrontare indirettamente il problema guardando al passato: a quando la musica aveva un ruolo fondamentale nelle nostre vite, a quando le canzoni intrattenevano amplificando le emozioni, a quando l’arte era una componente calda e accogliente della vita quotidiana. Il discorso del Wright autore, che si sviluppa su un piano parallelo per tutta la durata di Baby Driver, è un ritratto dei cambiamenti antropologici che nell’arco di pochissimi decenni hanno stravolto la cultura occidentale. Scevro da ogni retorica o giudizio moraleggiante, Wright ci fa provare nostalgia per quel tempo in cui, senza notifiche a distrarci, trovavamo un’ora per immergerci completamente in un disco, esplorandone ogni nota, perdendoci nei passaggi delle singole canzoni. Un tempo cui è impossibile non pensare con il rammarico di una ricchezza che si è persa, e che però è già mostrato in pieno cambiamento: l’iPod o lo stereo della macchina che accompagnano Miles rappresentano già il compromesso di una fruizione dell’arte frammentaria, mobile, fluida. Quel che però fa da fulcro dell’opera è l’idea stessa di musica: un modo divertente e creativo per esprimere emozione, che cambia con il tempo (come dimostra l’eterogenea colonna sonora) e a cui non si sottrae nemmeno Miles, che nella solitudine della sua camera ‘remixa’ la sua vita. Un discorso di inusuale profondità che fa di Baby Driver un film fatto con il cuore e che straborda di passione per la musica. Edgar Wright ha fatto centro di nuovo, con una storia originale e semplice, completa e auto-conclusiva, che però torreggia in un panorama di remake e sequel. Probabilmente il suo miglior film di sempre.