All’ultima edizione del Festival di Cannes, nella sezione parallela della Quinzaine des Réalisateurs, si sono messi in evidenza due film italiani molto interessanti: lo splendido Cuori Puri, esordio alla regia di Roberto De Paolis, e il sorprendente A Ciambra, opera seconda del regista italo-americano Jonas Carpignano che uscirà nelle sale italiane il 31 agosto.
Il protagonista del film è un ragazzo rom che vive nella comunità della Ciambra, nei pressi di Gioia Tauro.
Pio (Pio Amato) è un quattordicenne che vuole crescere il più in fretta possibile (beve, fuma e sa già portare la macchina) ed è forse l’unico della sua famiglia in grado di instaurare legami con persone al di fuori della Ciambra (gli italiani e gli immigrati africani). Il ragazzo è molto legato al fratello Cosimo e da lui impara come sopravvivere sulla strada (la fonte principale di sostentamento è il furto); quando però Cosimo e il padre vengono arrestati le cose cominciano a mettersi male per Pio, che sarà costretto a diventare in fretta un uomo, per provvedere ai bisogni dei suoi cari.
La pellicola, a metà tra la fiction e il documentario, è una lucida rappresentazione di quel particolare territorio.
Prodotto da Martin Scorsese (uno che si intende di prodotti di qualità), A Ciambra è un racconto di formazione realistico e senza filtri di un ragazzino cresciuto in un contesto duro e pieno di contraddizioni come quello di una comunità rom. Utilizzando un approccio degno della migliore tradizione neorealista, Carpignano, con una regia asettica e distaccata che segue da vicino le vicende dei protagonisti (massiccio l’uso della camera a mano), trascina lo spettatore nella quotidianità di un ambiente totalmente impermeabile alle influenze esterne e alle regole della nostra società (come dice il patriarca della famiglia, loro sono “soli contro il mondo”). La storia di Pio – ricordiamo che il cast è composto da attori della zona non professionisti – rappresenta in pieno le mille sfaccettature di una condizione umana estremamente complessa: nonostante il ragazzo sia propenso all’apertura e al relazionarsi con il diverso (il suo migliore amico è un uomo del Burkina Faso), non può tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla sua gente e al suo mondo, costi quel che costi (anche a danno delle persone che gli vogliono bene). Il merito maggiore del regista italo-americano è quello di non giudicare i suoi personaggi, capaci di compiere gesti nobili ma anche azioni terribili, e non far trapelare il suo punto di vista, lasciando così l’onere al pubblico di farsi una propria idea di ciò che sta guardando. Certo, non tutto funziona perfettamente e alcune scelte registiche sono opinabili (le scene oniriche, con simbolismo annesso, trascinano a forza la storia lontano dal piano del reale), ma questo non intacca un’opera che fa intravedere il grande potenziale di un giovane autore.
Scevro da posizioni ideologiche precostituite e da intenti moralistici, il lungometraggio di Carpignano è una boccata d’ossigeno per il cinema italiano, negli ultimi anni tendenzialmente poco provocatorio e incapace, per mancanza di coraggio, di gettare uno sguardo sulle realtà meno mediatiche del nostro paese.