Ci aspettavamo grandi cose dall’apertura della 74. Mostra Internazionale d’Arte Ciematografica di Venezia, ve ne avevamo già parlato. La scelta di una commedia dai toni quasi fantascientifici, firmata da un grande nome del cinema d’autore, sembrava la perfetta quintessenza del grandissimo cinema offerto da Barbera sin dal suo insediamento al Festival di Venezia: opere profonde ma perfette anche per il grande pubblico. Hollywood al suo meglio.
È invece Downsizing è un lavoro con uno straordinario potenziale che soccombe a un’irrimediabile indecisione in fase di scrittura e alla più totale assenza di una visione registica.
Il regista Alexander Payne è uno che il Cinema lo sa fare, e all’Academy lo sanno bene. Il suo Election ha ricevuto la nomination agli Oscar per la miglior sceneggiatura, Sideways e Paradiso Amaro hanno ricevuto cinque nomination e una statuetta ciascuno e Nebraska si è guadagnato sei candidature. Eppure, se andiamo a vedere l’ultima pellicola il cui script è stato firmato da Alexander Payne e Jim Taylor (stesso tandem che ha scritto Downsizing) scopriamo che è l’improponibile Io vi dichiaro marito… e marito con Adam Sandler. Non propriamente un capolavoro, per usare un eufemismo.
Downsizing non sarà una caporetto come la pellicola di Sandler, ma a tratti riesce addirittura ad esser peggio, presentandosi come un lavoro che non solo non osa ma addirittura non sceglie una direzione in cui andare, vagando erraticamente in un oceano di spunti potentissimi, il cui approfondimento è però sempre inspiegabilmente schivato con esperienza.
Il soggetto è accattivante. Per affrontare il problema della sovrappopolazione, degli scienziati inventano un modo per rimpicciolire gli esseri umani: quando sei alto dodici centimetri, puoi permetterti una vita da nababbo lasciando un’impronta ambientale quasi nulla.
Il protagonista (Matt Damon) decide per l’appunto di sottoporsi a miniaturizzazione insieme alla moglie (Kristen Wiig). La donna però cambia idea all’ultimo, quando il compagno è già rimpicciolito, e così la coppia chiude rapidamente la propria relazione senza che la cosa abbia grandi effetti sul prosieguo della pellicola. Da quel momento le potentissime idee suggerite in apertura diventano una chimera, e lo script si trasforma in qualcosa di irrimediabilmente generico e confuso.
Gli ingredienti per un mix emozionante ci sono: Damon inizia la sua vita di lusso da single affranto, e nell’arco di pochi mesi il divorzio lo riduce in condizioni di quasi indigenza – in quel mini-mondo in cui tutti sono ricchi. Per una serie di vicissitudini a dir poco pretestuose scopre che esiste la povertà estrema anche in quella colonia di ometti abbienti e si lega senza motivazioni comprensibili a una poverissima vietnamita burbera e idealista. Tra un amore per nulla convincente con la ragazza e un’altrettanto immotivata amicizia con un ricco contrabbandiere donnaiolo (un Christoph Waltz sempre magnetico ma ormai caratterista), finirà per navigare verso una fine del mondo (in senso letterale) improvvisa e sostanzialmente inutile ai fini narrativi.
Ci sono molte gag comiche che strappano risate di cuore, e alcuni cenni a tematiche sociali e un debole e appena tratteggiato allegorismo salvano la pellicola relegandola nella mediocrità. Se non fosse per tali elementi, però, la sceneggiatura di Downsizing sarebbe un vero disastro.
Payne accenna a tutte quelle idee che avrebbero potuto fare grande la sua pellicola: la crisi economica dovuta al tracollo dei consumi; il razzismo di chi mette in discussione il diritto di voto dei ‘piccoli’; il problema dell’attenzione alle esigenze dei ‘rimpiccioliti’ che diventano una minoranza concettualmente simile ai portatori di handicap; la militanza ambientalista e gli ideali; l’ironia paradossale di un’attesa fine del mondo per sovrappopolazione che viene anticipata da un disastro naturale imprevisto; la volontà del capitalismo di creare e sfruttare la povertà più nera e, infine, le gabbie nelle quali ci ritroviamo prigionieri per nostra stessa scelta. Abbastanza materiale per girare cinque film.
Eppure, incredibilmente, Payne manda sprecato un patrimonio creativo assolutamente straordinario: nel suo film non c’è dinamica narrativa, non c’è vera emozione, non c’è causticità e non c’è poesia.
Se la pellicola prende le mosse dal divario tra grande e piccolo, infatti, affoga poi impietosamente nella più totale insignificante medietà. Sia chiaro: probabilmente Downsizing avrà comunque buoni risultati al botteghino: il concept è divertente, ci sono molti attori della commedia americana contemporanea, le risate non mancano e l’assenza di un vero approfondimento è garanzia di un’accessibilità per il grande pubblico. Ma è anche un film senza cuore, sciatto e confuso. Proprio quel che non si saremmo mai e poi mai aspettati da Payne. Non la miglior pellicola con cui inaugurare Venezia 74, ma fortunatamente il cartellone della kermesse è ricchissimo di titoli che promettono di essere assolutamente notevoli.