Prima di arrivare al fatidico giorno della proiezione alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la paura era che The Shape Of Water si sarebbe rivelato come la pigra riproposizione di idee e situazioni che abbiamo già visto nella filmografia di Guillermo Del Toro: un fantasy neogotico con elementi drammatici e incursioni del reale. A ben pensarci anche stavolta la ricetta rimane quella, ma il risultato è decisamente al di sopra di ogni aspettativa: il visionario regista messicano infatti, pur non inventandosi nulla di nuovo, crea un’opera dall’equilibrio perfetto, impeccabile nel ricordarci che l’innovazione non è un valore in sé. Un film cui non andrebbe cambiata una virgola e che consacra Del Toro nell’olimpo degli autori contemporanei.
LA FORZA DI UNA STORIA FUORI DAL TEMPO
La storia di The Shape Of Water ha il respiro universale del mito e della fiaba: siamo nel 1962 ed Elisa (una superlativa Sally Hawkins) è una ragazza muta e solitaria, che ha come unici amici il vicino di casa e illustratore pubblicitario Giles (il mai abbastanza celebrato Richard Jenkins) e la collega Zelda (una Octavia Spencer semplicemente incontenibile).
Elisa lavora come donna delle pulizie in un laboratorio di ricerca segreto del governo americano, dove un giorno si imbatte in qualcosa di straordinario: una misteriosa e presumibilmente pericolosa creatura anfibia dalle sembianze antropomorfe (Doug Jones), che viene lì tenuta prigioniera a scopo di studio dal Dr Hoffstetler (il Michael Stuhlbarg di Boardwalk Empire) e interrogata tramite tortura dallo spietato agente del governo Strickland (il solido Michael Shannon). Inaspettatamente tra Elisa e la creatura nasce una reciproca curiosità destinata presto a trasformarsi in qualcosa d’altro: un’intesa tra due animi affini e a loro modo prigionieri e soli che scopriranno di completarsi l’un l’altro.
Liberando il soggetto dal trattamento e riducendolo all’osso, la storia potrebbe essere il più classico degli archetipi: una ragazza sfortunata trova riscatto nell’amore per un mostro dall’animo gentile, mentre un antagonista che incarna le convenzioni sociali avversa l’unione. Una storia senza tempo che parla al nostro io profondo, e che proprio per questo funziona.
LA BELLA E LA BESTIA CON UN MESSAGGIO OPPOSTO E TANTA SENSUALITÀ
Se è vero che né i temi né la storia sono particolarmente originali, va detto che ogni dettaglio del film è giustapposto con tale cura da farne un racconto intriso di poesia capace di travolgere con la sua semplicità anche lo spettatore più insensibile. Guillermo Del Toro rivendica la propria personalissima idea di cinema, impermeabile a ogni tentazione di assecondare le mode del momento, e confeziona una variante de La Bella e La Bestia che offre una straordinaria profondità di lettura ma che, al suo livello più superficiale, incanterebbe anche un bambino. Ancora una volta Del Toro propone un racconto in cui il diverso ha un fascino perturbante, e rispetto al rassicurante finale del racconto di Belle, prende la strada sovversiva di non cercare nella ‘perfezione’ umana un punto d’aspirazione cui tornare, un superamento del non convenzionale. La bellezza è nell’imperfezione, intesa come devianza dalle aspettative sociali e dall’ideale (declinata come malattia, introversione, aspetto mostruoso, omosessualità, disconoscimento dell’autorità, appartenenza a una minoranza razziale), e addirittura i patimenti di una vita vengono raccontati come un’opportunità di crescita e resilienza.
The Shape Of Water ha inoltre il non trascurabile merito di superare il cliché dell’amore platonico tra specie diverse e a suo modo è intriso di erotismo, dalla prima all’ultima scena.
DEL TORO HA LAVORATO GRATIS, IN UN MOMENTO DI SCONFITTE PROFESSIONALI
Guillermo del Toro negli ultimi tempi ha avuto più di un problema, tanto che la sua carriera sembrava vivere una fase calante. Già nel 2010 era stato costretto ad abbandonare la regia di Lo Hobbit e – dopo ritardi di produzione ingestibili – aveva visto lunghi anni di lavoro preparatorio venire cestinati da Peter Jackson. Recentemente però, nonostante la solidissima fan-base, sembrava che non riuscisse a portare a termine un progetto. In seguito all’abbandono della direzione di Justice League Dark della DC per girare Pacific Rim 2 (nonostante il botteghino non entusiasmante del primo capitolo), infatti, era stato costretto anche a lasciare il sequel su Jaeger e Kuijū a causa di un procrastinamento di 9 mesi e al contempo aveva visto naufragare definitivamente le speranze per un suo terzo capitolo di Hellboy. Come se non bastasse, a causa di rallentamenti di produzione Del Toro aveva dovuto recentemente abbandonare la futura serie Amazon Carnival Row e il suo Pinocchio, pur annunciato ufficialmente, sembra avere seri problemi di fattibilità a causa del budget troppo elevato.
Quel che gli rimaneva, in questi tempi sfortunati, era solo il progetto The Shape Of Water, ora più importante che mai. Quando un budget supera la soglia dei 20 milioni, però, l’ingerenza degli studios inizia a farsi sentire, e stavolta il cineasta messicano non poteva permettersi di non fare centro. Ecco perché Guillermo Del Toro, motivato a realizzare un racconto del tutto fedele alla sua idea di partenza, ha scelto di non percepire alcun salario per la regia del film (al netto delle tasse e degli oneri sindacali). «Al giorno d’oggi è tutto orribile e morboso, ma volevo fare un film che non avesse paura di parlare dell’amore, della bellezza e delle cose belle della vita» ha dichiarato il regista, ed effettivamente The Shape Of Water è un antidoto all’aridità disillusa del contemporaneo.
Il lavoro combinato di make-up artist e (in misura ridottissima) VFX specialist per portare in vita la Creatura è straordinario, ma merita assolutamente menzione anche l’insuperabile presenza scenica di Doug Jones, nel cinema odierno protagonista indiscusso delle performance con trucco prostetico almeno quanto lo è Andy Serkis di quelle in motion capture. Le musiche dolci e commoventi di Alexandre Desplat sono fondamentali nel costruire la magia e lo script di del Toro e Vanessa Taylor non manca di offrire molti momenti di commedia. Il film però non eccelle solo nel raccontare l’immaginario, ma anche il reale: è così che il divertentissimo personaggio di Octavia Spencer, concepito dagli sceneggiatori come indispensabile comic relief, contribuisce anche a ritrarre un mondo in cui delle donne forti ma socialmente invisibili rivendicano il loro peso anche davanti a semi-dei e poteri forti.
The Shape Of Water è tutto quello che una fiaba adulta dovrebbe essere, e per questo sarebbe stato il film d’apertura perfetto per il Festival di Venezia. Ormai è arrivato il momento di riconoscere a Guillermo Del Toro la sua straordinaria importanza nel panorama del cinema contemporaneo, la scusa che il cinema di genere sia un cinema di serie b non regge più.