Assieme a Downsizing, The Shape of Water e Mother!, il film in concorso più atteso della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è sicuramente Suburbicon, il sesto film di George Clooney dietro la macchina da presa (a tre anni di distanza dal deludente Monuments Men); tanti sono i motivi che giustificano l’elevato hype attorno a questo progetto: il grande cast (Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac sono solo alcuni dei nomi coinvolti), la presenza dei fratelli Coen come co-sceneggiatori e gli importanti temi socio-politici trattati nel film.
Suburbicon è ambientato nell’America benpensante e razzista del 1959.
Nella tranquilla comunità di Suburbicon la vita procede serena e pacifica: un posto ideale per poter crescere i propri figli. Un giorno però una famiglia di afroamericani spezzerà la routine del luogo scatenando il lato peggiore dei suoi abitanti (ricordiamo che il Civil Rights Act entrò in vigore negli USA solo nel 1964). In realtà il male si cela proprio all’interno della piccola-media borghesia bianca: Nancy Lodge (Julianne Moore), madre di famiglia vittima di un incidente stradale, viene uccisa su commissione dal marito Gardner Lodge (Matt Damon) e dalla sorella Margaret Lodge (interpretata anche lei dalla Moore), amanti disposti a tutto pur di stare insieme. Tuttavia l’omicidio scatenerà una serie di eventi drammatici e rocamboleschi.
La collaborazione tra Clooney e i Coen dà i suoi buoni frutti, nonostante la mancanza di originalità e l’eccessiva retorica.
Basato su una sceneggiatura del 1986 (dopo il successo di Blood Simple) dei due geniali autori di Fargo e Il Grande Lebowski, Suburbicon è una dark comedy in puro stile Coen che mostra il lato oscuro dell’americano medio e l’ipocrisia dell’istituzione per eccellenza della nostra società, la famiglia. La pellicola non si può certo definire originale ma fa egregiamente il proprio dovere nel raccontare la vicenda grottesca di Gardner Lodge, personaggio che incarna alla perfezione il cinismo e la mediocrità del white collar statunitense (un pò come il Jerry Lundegaard di Fargo); nel corso dei 104 minuti di durata del film lo spettatore si troverà nella condizione di odiare l’uomo e la sua cognata complice (una bravissima Julianne Moore nei panni di una stupida casalinga) ben più dei gangster coinvolti nell’omicidio e l’entrata in scena di characters tipici del cinema coeniano (come ad esempio il personaggio dell’ispettore assicurativo interpretato da Oscar Isaac) contribuisce ad accrescere, soprattutto per quanto riguarda la storyline principale, la tensione narrativa di Suburbicon (il film funziona bene anche come thriller). Peccato però che l’impronta di George Clooney, in fase di scrittura, abbia smorzato l’effetto potenzialmente dirompente di quest’opera: il regista/attore infatti nel voler rappresentare il razzismo imperante dell’epoca (evidenti sono le similitudini con ciò che sta succedendo oggi nell’era Trump) cade nella trappola della retorica, sfruttando malissimo la sottotrama della famiglia afroamericana (didascalica e quasi inutile ai fini della trama) e lasciando prevalere eccessivamente il suo punto di vista politico (lui è un grande sostenitore del Partito Democratico americano).
Considerando il passo falso di Monuments Men, Suburbicon è indubbiamente un film che rilancia la carriera da cineasta del divo americano; tuttavia, se vuole davvero imporsi come autore a tutto tondo, deve avere il coraggio di osare di più.