Alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è arrivato il momento di quello che probabilmente era il film più atteso: Mother! (in italiano Madre!), ritorno dietro la macchina da presa di Darren Aronofsky (Il Cigno Nero, The Wrestler, Requiem for a Dream) che vede sullo schermo un cast di prim’ordine composto da Jennifer Lawrence (alla sua più straordinaria interpretazione di sempre, decisamente in pole per la Coppa Volpi), Javier Bardem, Ed Harris, Michelle Pfeiffer e Domhnall Gleeson.
Definire Mother! un film è quasi un’inesattezza tassonomica. Mother! è un’opera completamente disinteressata a seguire i binari narrativi tipici del linguaggio cinematografico moderno; è un lavoro iconoclasta ed ermetico che se inizialmente sembra prendere la direzione dell’horror (lungo la proiezione il pensiero vola spesso a Rosemary’s Baby), si rivela poi essere qualcosa molto più vicino alla sensibilità de L’Angelo Sterminatore di Buñuel. Un racconto simbolico inadatto a un grande pubblico anestetizzato dai cinecomic. E sia chiaro, ciò non vuol dire che Mother! non sappia essere anche spettacolare.
LA PIÙ VIVIDA RAPPRESENTAZIONE DI UN INCUBO MAI VISTA AL CINEMA
Anche i film più imprevedibili, a un certo punto, giungono a una qualche sorta di spiegazione che giustifica quanto avviene sullo schermo; ma non è questo il caso di Mother!. La storia, dopo una brevissima introduzione tanto misteriosa quanto evocativa, prende le mosse dalla vita di coppia di Jennifer Lawrence, angelo del focolare con problemi di ansia, e Javier Bardem, poeta in piena crisi creativa. I due stanno ristrutturando la casa del protagonista, in passato quasi distrutta da un incendio, quando degli sconosciuti (la straordinariamente carismatica coppia Harris-Pfeiffer) si presentano alla porta, ricevendo l’incomprensibile ospitalità di Bardem. Da lì la pellicola prende una straordinaria deriva onirica, in cui gli eventi si susseguono in modo sempre più erratico e irragionevole sullo schermo – proprio come accadrebbe in un incubo – e la Lawrence, smarrita davanti all’impossibilità di capire ciò che le succede intorno e impotente nella sua incapacità di influenzare gli eventi, sprofonda progressivamente nel più terribile dei sogni.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DI MOTHER!: UNA METAFORA DELLA CARRIERA DI ARONOFSKY
La trovata geniale di Darren Aronofsky è quella di giocare fino in fondo la carta del sogno: così come le visioni notturne sono manifestazioni indirette della nostra vita psichica, Madre! è infatti un incubo con un significato simbolico estremamente preciso. Come tutte le allegorie, questa storia raccontata per simboli si presta certamente a più di una lettura, e lo stesso Aronofsky, sollecitato a riguardo, ha assecondato chi leggeva nella figura della Madre un paragone con la Madre Terra – d’altronde l’ecologismo del regista è cosa nota – o chi rimandava a chiari parallelismi biblici, pur rifiutandosi di dare un senso ad altri dettagli. La realtà però è che l’intera storia raccontata nel film assume un significato preciso e inequivocabile quando si legge tra le righe quel che il cineasta non dichiara pubblicamente, e cioè che il film è proprio quello che sembra: una profondissima riflessione per immagini sul rapporto tra un artista, la sua identità e il suo pubblico.
Aronofsky, da sempre legato a un cinema autoriale con una forte vocazione visionaria, negli ultimi anni si è lasciato sedurre dal lato più commerciale di Hollywood, legandosi temporaneamente a una serie di progetti poi sfuggitigli dalle mani (il remake di Robocop, il cinecomic The Wolverine, la regia di Maleficent per la Disney e un inusuale adattamento di Batman: Year One) e firmando il decisamente poco riuscito biblico Noah. Sembra ora che con Mother! il cineasta voglia – paradossalmente – svegliarsi da un brutto sogno e rivendicare il proprio status di autore, mettendo un punto e a capo alla sua carriera.
Il simbolismo dietro Madre! è inizialmente difficile da individuare, ma una volta identificato offre una chiave di lettura palese per ogni sfumatura dell’opera. Il poeta protagonista del film è chiaramente una proiezione del regista, un ‘io’ (come rivendica Bardem in una scena) che si trova diviso tra la sua identità più privata (la propria storia personale, rappresentata dalla casa), l’ispirazione artistica (l’amorevole compagna) continuamente ‘sedata’ dal compromesso (la medicina) e la seduzione esercitata da un pubblico adulatorio ma anche irrispettoso e rissoso (gli ‘ospiti’) e dall’industria cinematografica (il personaggio di Kristen Wiig), sirene che alimentano l’egocentrismo dell’autore ma che al contempo sono destinate a ‘fagocitare’ e snaturare l’opera d’arte (il bambino). Un percorso verso il successo il cui risultato è quello di allontanare l’artista dalla propria creatività, almeno fino a un punto di non ritorno in cui l’unica soluzione è fare terra bruciata e riscoprire la propria vocazione di autore. Che è proprio quello che, con forza dirompente, Aronofsky dimostra di voler fare con Mother!.
UN MANIFESTO DI COSA DEBBA E POSSA ESSERE IL CINEMA ALL’ERA DI NETFLIX
In un momento in cui l’industria cinematografica è pigramente appiattita su cinecomic, sequel e reboot, e le produzioni televisive (pensiamo a Netflix e Amazon, ma anche a HBO) sono l’unico terreno fertile per la creatività e la sperimentazione, Aronofsky fa una dichiarazione di straordinaria potenza su quale debba essere il ruolo del cinema.
L’autore statunitense realizza un’opera selvaggiamente creativa ma inaccessibile addirittura a parte della critica (figuriamoci poi al pubblico), e per farlo riceve un consistentissimo budget messogli a disposizione da una Paramount qui più incline al mecenatismo che al business.
Mother! propone un’idea di film-making completamente svincolata dalle logiche commerciali e autoreferenziale come solo la vera arte sa essere, un cinema al quale non siamo più abituati ormai da decenni e che ora ci coglie tutti esposti, impreparati.
Difficile prevedere l’esito del film di Aronofsky al box-office: l’apertura promette di essere particolarmente forte, in virtù dei nomi in gioco e dell’ottimo marketing, ma il passaparola potrebbe affossare la pellicola trasformandola in un suicidio commerciale. Buona parte della critica sta riservando un trattamento terribile al film e difficilmente il pubblico saprà cogliere certe sfumature di un’opera tanto complessa, ma nonostante l’esito della stagione dei premi (a partire dal concorso di Venezia 74) sia imperscrutabile, quel che è certo è che, se quello di Venezia è un festival d’arte cinematografica e non di mero cinema, un’opera come Madre! non può che torreggiare. Chi oggi demolisce Mother! tra qualche decennio dovrà giustificarsi.