La regista cinese Vivian Qu ha presentato in concorso alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Angels Wear White, un ritratto della Cina contemporanea vista con gli occhi di un gruppo di donne, collegate da un terribile episodio che sconvolge le loro vite.
Una statua di Marilyn Monroe alta dieci piani sovrasta la spiaggia di una località turistica. Sul litorale una serie di nuovi alberghi, che rappresentano la volontà della Cina di inseguire le abitudini occidentali. Mia (interpretata da Wen Qi), un’immigrata clandestina proveniente da una lontana provincia, lavora in uno dei tanti hotel della costa come addetta alle pulizie ma una sera, sostituendo l’amica receptionist Lily (Peng Jing), assiste ad un episodio sconvolgente. Due ragazzine Wen e Xin (le esordienti Zhou Meijun e Jiang Xinyue) sono adescate da un uomo che le convince ad andare in camera con lui, compiendo un terribile stupro. Apparentemente indifferente perché terrorizzata dalla paura di perdere il lavoro, Mia non riesce a tollerare l’episodio e conserva una copia dell’ingresso dell’uomo in hotel sul suo telefono. Stuprate, mortificate e derise Wen e Xin avranno la forza per denunciare ma si scoprirà che il pedofilo è un uomo molto importante, il direttore della più grande fabbrica della zona.
Da qui la trama di Angels Wear White si sposta sul legal drama, introducendo la figura dell’avvocato donna Hao (Ke Shi) in costante lotta per la difesa delle minori che subiscono abusi sessuali, una pratica che in Cina scopriamo essere piuttosto comune. Ad aspettare le ragazze un muro di indifferenza, omertà e maschilismo, che contrastano con i principi di un Paese molto legato alle tradizioni e al rispetto reciproco ma che sembra non avere spazio per una sincera emancipazione femminile.
Vivian Qu, che ritorna al Lido dopo aver presentato nel 2013 Trap Street (acclamato dalla critica internazionale), presenta il ritratto di una Cina nascosta, ossessionata dal concetto di purezza, richiamato nel bianco vestito di Marylin (ritratta nel suo più iconico abito dal film Quando la Moglie è in Vacanza) e nelle giovani spose in abito occidentale, che affollano le spiagge in primavera per i photobook matrimoniali.
La regista, senza alcuna esitazione, ci mostra volti segnati dalla disperazione, rigati dalle lacrime di due bambine innocenti, nascosti dal trucco delle donne adulte e celati dalle urla di una madre disperata. Episodi di una terribile violenza nascosti sotto il tappeto dell’indifferenza, una vergogna che si pretende essere moderata con grida d’aiuto spezzate da ambienti asettici, disumani.
Seppur narrata con linearità, la storia che Vivian Qu ci mostra è di un incredibile impatto visivo: i colori tenui rispecchiano lo status della vicenda mentre la camera indaga sulla storia, sia dal punto di vista delle protagoniste che dall’esterno. La regista non si limita ad essere l’osservatrice partecipante della storia ma è la storia stessa, un lavoro di grande onestà intellettuale che riesce a mostrare le vivide emozioni che invadono i corpi delle donne protagoniste.
Angels Wear White è un film indimenticabile, che ferisce nel profondo aprendo la discussione sui tabù della Cina contemporanea, sulle donne e sulla giustizia e che in più occasioni inverte i ruoli della vittima e del carnefice, compiendo una dura critica della società. Una pellicola dalla straordinaria estetica, capace di analizzare antropologicamente le contraddizioni di un Paese che sta cambiando rapidamente usi e costumi. Un lavoro che punta ad aprire una finestra su cosa sono adesso e su cosa vorranno diventare le donne del futuro.
Venezia 74 – Angels Wear White: la Cina spietata di Vivian Qu (recensione)
L'opera della regista cinese, in concorso al Festival di Venezia, tratta il tema delicato delle violenze minorili all'interno del paese asiatico.