Presentato in anteprima al Lido e selezionato in Concorso alle 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia anche Una famiglia, secondo lungometraggio di Sebastiano Riso. Come per la sua opera prima, Più buio di mezzanotte, presentata al Festival di Cannes alla Semaine de la Critique 2014, Riso e gli sceneggiatori Andrea Cedrola e Stefano Grasso hanno lavorato insieme sin dal primo minuto della pre-produzione.
Quando il film si apre, Maria (Micaela Ramazzotti) e Vincent (Patrick Bruel) sembrano già una coppia del tutto anomala, eppure a suo modo normale: uno standard nel contesto di una coppia disfunzionale, dove si riconoscono facilmente le dinamiche più crudeli della co-dipendenza e della sopraffazione. Maria è innamorata, bellissima, esegue tutto con affanno, eppure è sempre rapida e efficace, anche se sembra tremendamente stanca. Il suo aspetto, l’apparenza è quello di una femme-fatale dolorosa, il taglio dei capelli biondi e gli abiti ricordano così tanto l’icona pop di Marilyn Monroe. Quell’uomo, al contrario, parla pochissimo: è evidente che non debba chiedere per ottenere tutto quello che vuole. Al contrario: ogni volta che si rivolge a lei, il tono della sua voce è incredibilmente gentile. Più che gentile, completamente formale: «buongiorno, come stai?», come se la violenza fisica, scena dopo scena, non fosse sempre più intollerabile.
Un’antica regola, antica come la tragedia greca, recita una presupposto non negoziabile: l’orrore accade solo fuori scena. Così, una sequenza dopo l’altra, grazie all’incredibile efficacia della sceneggiatura, dei dialoghi e della struttura tracciati insieme da Riso, Cedrola e Grasso, lo spettatore potrà porsi sempre più domande, mentre il contrasto tra la realtà e l’immagine diventa sempre più straniante.
Cos’è che Vincent sta davvero imponendo a Maria? Prostituzione? O forse desidera a tutti i costi un figlio da lei? A cosa “servono” davvero i figli che lei sta generando? Quanti sono? Quanti di questi sono ancora vivi? Perché una donna così perdutamente innamorata tenta disperatamente una strada per ribellarsi, solo perché fallisca ancora? Come potrà sottrarre lei e il suo ultimo, nuovo bambino a una spirale di violenza e orrore che sembra non trovare mai fine?
Quasi inspiegabilmente, i protagonisti Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel, il filmaker Sebastiano Grasso e gli sceneggiatori Cedrola e Grasso, sono stati accolti in conferenza stampa da una polemica che sembrava riguardare solo la morale, il messaggio del film (per altro aperto alle più diverse considerazioni), nella fattispecie il tema dell’adozione. In modo specifico e particolare, il tema delle adozioni gay.
Lontano dall’essere un “film a tesi”, Una famiglia è un film dal profilo europeo, inattaccabile da ogni punto di vista tecnico, quelle vecchie care cose che un tempo si chiamavano produzione, fotografia, montaggio. La parte più stupefacente dell’opera, al netto di qualunque considerazione, è una struttura tragica e contemporanea che funziona come una macchina a orologeria.
Sarebbe triste che la polemica degenerasse, riportando ancora a considerazioni generali sulla 74. Mostra del Cinema di Venezia, sulla scomparsa di un certo genere di giornalismo cinematografico.
In conferenza stampa la protagonista del film, Micaela Ramazzotti, ha ringraziato gli autori per quella che è a pieno titoli una delle sue migliori interpretazioni drammatiche.
Nello stesso modo, erano folgoranti le risposte degli autori alla stampa, non fosse che per linguaggio chiaro, contemporaneo e perfino auto-ironico, attraverso il quale hanno scelto di addentrarsi in tutta una serie di campi minati: etica, morale, cinematografia nella sua accezione più classica, o forse più vera.
Concretamente, all’anteprima in sala Darsena al Lido di Venezia il film è stato premiato con degli applausi. Una famiglia, prodotto da Rai Cinema e Indiana Production, sarà distribuito nelle sale italiane a partire dal 28 Settembre.
Venezia 74 – Una Famiglia: una storia coraggiosa che fa discutere (recensione)
La tematica dell'utero in affitto e quella delle adozioni illegali vengono usate per raccontare l'impossibilità di essere innocenti nell'Italia di oggi.