A tre anni di distanza da Words with Gods (fuori concorso), il registra australiano Warwick Thornton presenta alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il western Sweet Country.
1929, Australia del nord: dopo aver subito diverse angherie, il guardiano di bestiame aborigeno Sam (Hamilton Morris) uccide il proprietario terriero bianco Harry March (John Gibson) per autodifesa. Il momento storico però non garantisce la legittima difesa a un aborigeno, schiavo dei bianchi, e Sam è costretto a fuggire insieme alla moglie Lizzie (Natassia Gorey Furber). I due scappano dal plotone di ricerca guidato dal sergente Fletcher (Bryan Brown), pronto a tutto per portarlo alla gogna, ma l’aborigeno, per proteggere la moglie incinta dopo giorni di fuga, decide di consegnarsi alla polizia e di affidarsi alla sentenza del giudice Taylor (Matt Day).
Tratto dalla storia vera dell’omicidio di un bianco da parte dell’aborigeno Wilaberta Jack (arrestato e processato negli anni Venti), Sweet Country è un western canonico che evidenzia sfumature classiche: frontiere, espropriazioni di terra, orizzonti e schiavitù. Dal punto di vista formale, nulla da eccepire: il paesaggio australiano è straordinario, la fotografia di Dylan River è ottima e la colonna sonora ammalia. E non solo: il montaggio ellittico di Nick Meyers è uno dei punti di forza del film, con dei fotogrammi in flashforward che anticipano lo sviluppo della narrazione. Non convince la scelta di sovrapporre la questione razziale al classico binomio sceriffo-fuorilegge, che trasforma in maniera naturale quanto inadeguata una promettente trama western, tra pistole e pallottole, in una caccia all’uomo prima e in una noiosa conclusione processuale poi. Senza dimenticare che, probabilmente a causa della difficoltà di reperire attori indigeni australiani, la pellicola soffre delle interpretazioni a dir poco disarmanti offerte dagli attori aborigeni.
Girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad Alice Springs, Sweet Country vuole catturare l’attenzione dello spettatore e affascinarlo al fine di raccontare i problemi che un popolo occupato si trova ad affrontare, con i nativi che recitano un ruolo importante all’interno della sceneggiatura di David Tranter e Steven McGregor. Un conflitto tra civiltà che si collega alla questione razziale, ma la trasposizione non valorizza le seppur buone intenzioni del regista. In un concorso ricco di ottimi film, la presenza dell’opera di Thornton resta un mistero.
Venezia 74 – Sweet Country: dall’Australia un western senza sorprese (recensione)
Warwick Thornton firma un western australiano incentrato sulla discriminazione razziale e che senza originalità si muove seguendo i cliché del genere.