Alla 74. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Venezia Classici, è stato presentato l’interessante documentario The Prince And The Dybbuk, diretto dai registi polacchi Piotr Rosolowski ed Elwira Niewiera; il film racconta la vicenda poco nota di Moshe Waks, una figura enigmatica di grandissimo fascino.
La storia vera di una personalità dalle molteplici vite.
La vita di Moshe Waks è degna di un film: proveniente da una umile famiglia ebrea ucraina, il giovane si trasferì a Varsavia e, su consiglio del regista Victor Biegański, cambiò il nome in Michał Waszyńsk. Da qui il grande passo: Waszyńsk passò alla regia e presto divenne famoso per la sua capacità di realizzare pellicole low budget in breve tempo. Nel 1937 diresse il suo primo successo di critica (Der Dibuk) e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, sposò una ricca vedova; la donna morì dopo poco tempo e Waszyńsk ereditò non solo la sua fortuna ma vestì alla perfezione anche i panni del finto aristocratico. Diventato produttore cinematografico e grande frequentatore della vita notturna romana, l’uomo morì a Madrid nel 1965 e venne sepolto a Roma assieme alla sua famiglia d’adozione.
The Prince And The Dybbuk è un documentario dall’impostazione molto classica: attraverso interviste, immagini di repertorio e la lettura di alcune pagine del suo diario personale, i due registi realizzano un ritratto accurato di un uomo dall’esistenza straordinaria che, come il Leonard Zelig di Woody Allen, era in grado di adattarsi ad ogni contesto in maniera perfetta.
Tuttavia, pur avendo raggiunto tutti gli obiettivi della sua vita, Moshe Waks aveva una sorta di inquietudine legata al suo capolavoro (lui era alla ricerca della stampa perduta del suo film), pregno di ricordi della sua modesta giovinezza. Personalità camaleontica (nonostante si fosse sposato, Waks era omosessuale), la sua vita privata fu molto discreta e, in un contesto come il mondo del cinema in cui essere se stessi è svantaggioso, riuscì con le sue abilità a farsi largo in un ambiente artificiale in cui l’immagine e l’immaginazione è tutto.
Nonostante il lungometraggio di Rosolowski e Niewiera non regali momenti memorabili, la storia di Waks è talmente affascinante da incantare lo spettatore fin dalle prime scene. Assolutamente consigliato.