Non manca di certo il coraggio ad Amichai Greenberg, regista israeliano che, alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha presentato la sua opera prima nella sezione Orizzonti. Il suo The Testament (Ha Edut) affronta il tema dell’Olocausto e del negazionismo da una prospettiva nuova, a tratti spiazzante, capovolgendo molti degli assunti di film recenti che trattano lo stesso argomento (si pensi a Lo Stato contro Fritz Bauer o a La Verità Negata) bussando alla porta di uno dei tabù più scomodi per lo Stato di Israele: la sua natura identitaria.
Ricerche e scoperte
Greenberg ci conduce lentamente all’interno della questione, partendo da molto lontano. D’altra parte il protagonista Yoel (Ori Pfeffer), storico di fama mondiale ed esperto di Olocausto, è introdotto come un personaggio perfettamente integrato nel sistema, per quanto riguarda l’ideologia dello Stato di Israele e l’utilizzo di una certa retorica che appartiene alla ricerca storica sulle vittime della Shoah. Da scienziato e da credente Yoel è chiamato a indagare su un presunto sterminio di prigionieri ebrei avvenuto nel 1945 in un villaggio austriaco: mentre le autorità del luogo hanno la necessità di costruire delle superstrade che attraversano il villaggio, Yoel deve dimostrare la veridicità dello sterminio e soprattutto ha il compito di individuare la fossa comune che non è mai stata trovata. Durante il suo lavoro di ricerca negli archivi israeliani Yoel incapperà però in alcuni documenti riservati che riguardano tutt’altro e che metteranno in dubbio la sua stessa identità: la scoperta che sua madre è una goy, ovvero una non-ebrea.
Fra verità e identità
Da legal storico The Testament si trasforma dunque in un dramma personale, confondendo bibliografia e biografia, ricerca della verità storica e accettazione delle propria identità individuale. Il percorso travagliato di Yoel diventa il sintomo di un distacco dal proprio status di ebreo e una critica radicale all’identitarismo della società israeliana. Che tutto ciò si intrecci con la ricerca storica di Yoel per controbattere al presunto “negazionismo” delle autorità austriache (in realtà molto più pragmatico che ideologico) è il vero azzardo di Greeneberg, toccando un nervo scoperto, sensibile e delicatissimo come quello della Shoah. Sarà però grazie a questo crocevia contraddittorio (combattere il negazionismo e al tempo stesso essere costretti a negare la propria natura) che farà rivalutare al nostro protagonista il proprio ruolo di storico e, soprattutto, ricalibrare le ragioni che lo hanno portato a cercare ossessivamente la verità su quei 200 ebrei sterminati in Austria nel 1945.
I limiti della messa in scena
Oltre al già citato coraggio Greenberg mostra un talento fuori dal comune nell’imbastire uno script ben congegnato dalla solida struttura capace di far evolvere il main character in maniera quasi totale, sia fisicamente che caratterialmente. Quello che invece manca è un’altrettanta compatta impalcatura filmica in grado di rappresentare adeguatamente ciò che viene semplicemente raccontato. Sicuramente riprodurre l’atmosfera fredda e asettica degli archivi storici israeliani è stata una scelta registica riuscita ma rimane una traccia isolata che si perde in una narrazione alla lunga troppo attenta alla storia a discapito della messa in scena, più teatrale che cinematografica.
Nonostante questo limite The Testament rimane un’opera unica nel suo genere, perché mette in relazione la memoria storica dell’Olocausto degli ebrei con la natura identitaria di un popolo; inoltre il film è capace di disarticolare un discorso fin troppo prigioniero della Storia che ancora condiziona l’attualità della società israeliana.
The Testament potete guardarlo ora online su Festival Scope, la piattaforma che rende disponibili in streaming e in contemporanea i film dei grandi festival, compresi quelli di Venezia 74.