Krieg, film presentato alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, andrebbe visto solo per farsi un’idea dell’alta qualità di una produzione televisiva tedesca. Perché il film di Rick Ostermann, che ritorna a Venezia quattro anni dopo il suo esordio con Wolfskinder, non è nient’altro che un prodotto realizzato originariamente per il canale televisivo tedesco WDR da Schiwago Film GmbH. E che un film per la televisione sia arrivato fino a Venezia è la dimostrazione di un investimento altissimo, non solo in termini economici ma anche di contenuti, che alcuni paesi europei compiono verso un mezzo generalista come la televisione.
Dal romanzo al film
Scritto da Hanna Hollinger e ispirato al romanzo di Jochen Rausch, Krieg racconta la parabola discendente del protagonista Arnold (Ulrich Matthes), insegnante tedesco che decide di dedicarsi a pratiche di eremitaggio in alta quota con la sola compagnia del suo cane Hund. Chi o cosa abbia portato Arnold a isolarsi in una baita di montagna lontano dalla civiltà e dal proprio passato ce lo spiega proprio una linea narrativa parallela, in cui, attraverso diverse sequenze di flashback, racconta la decisione dell’unico figlio Chris (Samuel Schneider) di arruolarsi nell’esercito tedesco per combattere una non precisata guerra contro “i barbuti”. Un fatto che sconvolgerà per sempre la quotidianità del padre, di sua moglie (Barbara Auer), della giovane fidanzata del figlio (Jördis Triebel) e in generale di tutto il microcosmo piccolo borghese della famiglia, fatto di propositi progressisti (ovviamente pacifisti), pianificazioni di vacanze e buon cibo sulla tavola. Ma sarà proprio il nuovo Arnold, tormentato e paranoico, a dover fare i conti, durante il suo ritiro dal mondo, con un “vicino di casa” che sembra averlo preso di mira. Finendo così per lasciarsi trasportare in un’ostilità senza precedenti.
Guerra genera guerra
Tutta la narrativa di Krieg si fonda dunque sull’idea di guerra. La guerra di civiltà di Chris (solo evocata e mai mostrata) e la guerra individuale di Arnold costretto a superare le sue convinzioni non-violente per un’ossessiva ricerca dello scontro e del conflitto. E’ un sottile gioco al massacro quello imbastito da Ostermann, con la guerra “militare” che genera guerra “civile”, con un’idea di trincea provocatoriamente rovesciata dal deserto di sabbia a quello di neve e con un’ossessione del protagonista per il suo nemico invisibile sempre più angosciante e disgregante. In tutto questo è bravissimo Matthes (si era già fatto notare in passato interpretando il Goebbels de La Caduta) che, complici i dialoghi ridotti all’osso, sfodera abilmente una recitazione fatta di sguardi e di gesti, dilatando i tempi e restituendo con una certa freddezza un dramma interiore pesantissimo da digerire nonché la propria rabbiosa elaborazione del lutto.
Deserti dell’anima
Ma al di là dello script è proprio la resa tecnica di Krieg che riesce a funzionare davvero. Gli algidi paesaggi delle montagne nevose, grazie all’ottima fotografia di Leah Striker, fanno eco a un altro paesaggio ovvero quello dell’anima del protagonista, allo stesso modo intorpidito e desertificato. Ostermann alterna con una certa sicurezza la macchina a mano e carrelli panoramici ben misurati, riuscendo a rievocare alcune atmosfere asettiche che ricordano per certi versi l’Haneke de Il Tempo dei Lupi o il Sam Raimi di Soldi Sporchi. Tutto quanto senza grandi sbavature, tutto quanto facendo respirare i corpi e i gli ambienti ma tenendo sempre ben saldo il timone verso la rotta che porta al thriller, in un crescendo ben congegnato che esplode in un finale aperto e sospeso, tutto da rielaborare.
Lucido, attuale, ben girato e capace di far riflettere lo spettatore sui terrificanti effetti che le ideologie belliche possono avere su persone insospettabili: Krieg a Venezia non è passato affatto inosservato e con una certa probabilità, da qui a venire, ne sentiremo ancora parlare.
Krieg potete guardarlo ora online su Festival Scope, la piattaforma che rende disponibili in streaming e in contemporanea i film dei grandi festival, compresi quelli di Venezia 74.