Non è ben chiaro in che modo la storia alla base di Brutti e Cattivi, vincitrice al prestigioso Premio Solinas nel 2012, si sia trasformata nella confusa pellicola proiettata alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti e dal 19 ottobre nelle nostre sale grazie a 01 Distribution, ma di fatto quello che prometteva di essere un caustico crime cartoonesco, capace di ritrarre finalmente la disabilità senza alcun pietismo, disinnesca le altissime aspettative della vigilia e si rivela un lavoro che definire deludente è riduttivo. Come dichiarato dal coautore Luca Infascelli (recentemente distintosi come co-sceneggiatore del bellissimo Cuori Puri), l’ispirazione dovevano essere i film di Tarantino, di Scola o dei Coen, ma viene più facile pensare a Neri Parenti o a Carlo Vanzina.
DISABILI DI BORGATA FANNO I BASTARDI
Cosimo Gomez, scenografo di grande talento ed esperienza, sporadicamente autore di racconti fin qui inediti e illustratore fantasioso (come dimostrano gli storyboard del film), debutta dietro la macchina da presa scrivendo a quattro mani lo script proprio con Infascelli (qui l’intervista in collaborazione con WGI). La storia è quella di una banda di criminali disabili provenienti dalla borgata romana che, come suggerisce il titolo, non solo non suscitano pietà ma sono anche tanto immorali e spregiudicati da provocare riprovazione. Il Papero (un ormai impeccabile Claudio Santamaria) è privo delle gambe, ha un vistoso mullet con riporto, sfoggia sul braccio il grosso tatuaggio “magna fregna” e a dispetto del titolo non è particolarmente ‘cattivo’; la sua ragazza Ballerina (la sempre bravissima Sara Serraiocco, cui qui non sono richieste grandi sfumature interpretative) non ha le braccia ma è decisamente tutto tranne che ‘brutta’; Er Merda (un irriconoscibile Marco D’Amore, memorabile protagonista in Gomorra) è un rasta con una disabilità mentale dovuta all’uso eccessivo di droghe, e Plissé (il rapper Simoncino) è praticamente la fotocopia in chiave criminale del personaggio di rapper trucido, aggressivo e stereotipato con cui si è fatto conoscere il suo interprete.
LA DISABILITÀ COME PRETESTO MORBOSO: RITORNO AL CIRCO BARNUM
In un panorama audiovisivo in cui i portatori di handicap sono sempre trattati con accondiscendenza e pietismo (celebre la casting call che nel 2016 cercava per una fiction Rai «un ragazzo nano o con altra disabilità che trasmetta tenerezza»), una ventata di politicamente scorretto sembra una boccata d’aria freschissima, meritevole di introdurre una tanto attesa parità di trattamento tra persone ‘sane’ e disabili – anche al costo di dipingere degli ‘storpi’ spregevoli.
Il problema è che però quello su cui si muove Gomez è un terreno scivoloso e infatti, al termine della pellicola, si ha l’impressione (probabilmente sbagliata) che l’unico motivo per cui abbia scelto di ritrarre dei protagonisti handicappati sia il gusto di “farlo strano”, di stupire a tutti i costi e di sfruttare il fascino morboso di una deformità che non è mai realmente rilevante ai fini della narrazione.
È vero che la guerra contro l’indigeribile buonismo ‘da fiction’ si combatte anche con pellicole come questa, ma la cultura popolare ci ha ormai abituato a una certa libertà in materia. Pur senza scomodare Freaks, il capolavoro del 1932 in cui Tod Browning aveva raccontato con ben altra profondità dei protagonisti ‘brutti e incattiviti’ (loro sì), sono molti i disabili lontani dal suscitare pietà: dagli eroici Daredevil e Charles Xavier al poco raccomandabile Hector Salamanca di Breaking Bad passando per lo sfaccettato Tyrion Lannister di Game of Thrones. Sono poi lontani nel tempo ma non meno iconici il Giudice assetato di rivalsa cantato da Fabrizio de Andrè su ispirazione di Edgar Lee Masters ma anche il grandioso Riccardo III di Shakespeariana memoria, in cui l’aspetto mostruoso era una manifestazione esterna della corruzione dell’animo.
Al fianco di personaggi tanto importanti, purtroppo, quelli presentati in Brutti e Cattivi spariscono, diventando insignificanti macchiette che sembrano concepite per vendere qualche biglietto in più; maschere senza alcuna profondità drammaturgica il cui unico scopo è una ricerca della stravaganza fine a se stessa – è emblematica la scena di sesso tra l’uomo senza gambe e la donna senza braccia. Un vero ritorno ai tempi del Circo Barnum, in cui si pagava il biglietto per stupirsi davanti agli ‘scherzi della natura’.
UN TRAMA PIGRA E INCOMPRENSIBILE
Ad essere ben più sconcertante di qualche arto mancante è in realtà l’assenza di gangli narrativi che colleghino in modo ragionevole i diversi segmenti nei quali è suddivisa la storia, la quale dopo un inizio apparentemente convincente sembra procedere per virate ingiustificate e inserimenti pretestuosi.
Nello script di Brutti e Cattivi l’ironia non manca e qualche scena (si pensi ad esempio a quella in cui Santamaria chiede l’elemosina fuori da una chiesa) funziona meravigliosamente tanto in termini di scrittura che di regia. C’è addirittura un numero musicale ottimamente concepito e che avrebbe potuto rappresentare un fulcro fondamentale della pellicola nonché una ‘guida’ per il tono da adottare nel resto del film, anziché esser trattato come un fortunato episodio presto archiviato senza alcuna rilevanza o connessione.
Invece, complice una costruzione non lineare alla Tarantino gestita in modo grossolano, la trama si evolve meccanicamente e verso metà pellicola arriva a chiudere in una manciata di fotogrammi e senza giustificazione la linea narrativa fin lì principale, rendendola del tutto ininfluente. Sconcerta poi l’inserimento di elementi soprannaturali incomprensibili e del tutto avulsi dal contesto, con l’unico scopo di ‘costringere’ i comprimari a compiere azioni che altrimenti non avrebbero alcun senso nella dinamica narrativa, sino a un finale in cui un indigeribile buonismo e una realizzazione (ad esser generosi) sciatta riportano alla mente il più sgradevole dei Cinepanettoni.
GRANDI ATTORI, PERSONAGGI MODESTI
In Brutti e Cattivi è evidente la volontà di inserirsi nel filone del cinecomic alla carbonara (definizione che ci siamo appena inventati), cioè quella serie di pellicole che, dopo il successo di Lo Chiamavano Jeeg Robot, cerca di inserirsi nel genere raccontando una realtà romana grottesca in cui elementi action, crime e comedy incontrano toni fumettistici (si pensi anche a Smetto Quando Voglio: Masterclass – ben diverso dalla prima pellicola della trilogia – e a I Peggiori).
A differenza dei film cesellati fin nel minimo dettaglio di Manetti e Sibilia, però, il debutto di Gomez risente di una certa confusione sul tono e sulla direzione da intraprendere, e tale discontinuità si riflette su molti aspetti della realizzazione. Se, come già detto, nulla può adombrare la bravura di Santamaria e della Serraiocco (che ancora una volta si ritrova a offrire un lavoro egregio in una pellicola dimenticabile), stupisce vedere un attore solido e di talento come Marco D’Amore portare in scena una performance divertita ma scadente e gigionesca ai limiti della recita scolastica – che risente probabilmente della sconcertante bidimensionalità di un personaggio anacronistico e stereotipato all’inverosimile. C’è poi la prostituta con visioni mistiche (pessimamente scritta) interpretata da Aline Belibi, che, trovando ‘redenzione’ nel finale a tarallucci e vino, incarna la totale assenza di coraggio che è la vera anima di un prodotto che osa a un livello superficiale ma pare non aver nulla da dire nella sostanza; in cui si preferisce costantemente strizzare l’occhio allo spettatore piuttosto che rischiare.
In conclusione Brutti e Cattivi, pur forte di un ottimo cast e di qualche spunto decisamente apprezzabile, si rivela essere un lavoro nel complesso decisamente debole, sviluppato e confezionato in modo scadente. Chi vi scrive crede sinceramente nella buonafede di Gomez e nella volontà degli autori di confezionare un lavoro che per originalità, cattiveria, e toni grotteschi si distinguesse dalle commedie italiane fatte con lo stampino; eppure questa coppia creativa non va neanche vicina a raggiungere il proprio scopo, consegnandoci un film che non rende giustizia né alla grande creatività che Gomez ha sempre dimostrato in altri contesti né alle indubbie doti di Infascelli.
Basti sottolineare che l’idea di umorismo di bassa lega su cui si fonda la pellicola propone come gag ricorrente un nano che mima platealmente un cunnilingus con tanto di effetti sonori aggiunti in post-produzione (forse il tatuaggio sul braccio del protagonista non risultava abbastanza eloquente). Una soluzione che colpisce non tanto per la volgarità in sé – che in altri contesti avrebbe anche potuto divertire – quanto per la banalità che sottende all’idea. E non bastano a risollevare le sorti un paio di passaggi esilaranti, come quello fuori dalla chiesa o quello in cui il protagonista cerca di liberarsi di un paio di manette.
Brutti e Cattivi è prima di tutto una grande occasione sprecata, che però – a giudicare dal giubilo del pubblico pagante quando Simoncino dimenava la propria lingua tra le dita come fossero una vagina – potrebbe essere un gran successo.