Christian Bale (Batman Begins, American Psycho, L’Uomo Senza Sonno) non ha certo bisogno di presentazioni. La sua stessa presenza in una pellicola è di per sé una garanzia di grande talento e attenzione nella costruzione della performance attoriale. Rosamund Pike (Gone Girl, Jack Reacher), dal canto suo, non gode purtroppo della stessa fama, ma è un’altra straordinaria artista fin troppo sottovalutata, capace di grande naturalezza, dalla grande dinamica espressiva e con un timbro di voce che da solo basterebbe a distinguerla dalla massa.
NON BASTANO DUE GRANDI ATTORI PER FARE MIRACOLI
Ecco, questi due impeccabili attori mantengono fede alla propria reputazione e in Hostiles (Ostili), period western di Scott Cooper (Black Mass, Il Fuoco della Vendetta) che apre la 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, regalando interpretazioni emozionanti, curate fin nel dettaglio e che da sole varrebbero il prezzo del biglietto. Il problema è che, se un pessimo attore può rovinare un film eccellente, un attore eccellente non può risollevare le sorti di un lungometraggio problematico.
Hostiles purtroppo sembra un unico grande sforzo profuso da Cooper per vanificare l’evidente impegno di Bale della Pike, e tra le mille domande che sorgono al termine della proiezione, la prima ci porta a chiederci per quale motivo il regista abbia sentito l’esigenza di trasformare quello che avrebbe potuto essere un western classico in un melenso drammone d’appendice – scritto con i piedi – in cui una drammaturgia inizialmente promettente si risolve in un indigeribile buonismo normalizzante.
UN SOGGETTO CHE GIRAVA DA ANNI
La storia porta la firma di Donald E. Stewart (deceduto nel ’99) ed era in attesa di essere portata sullo schermo da anni. Siamo nel 1892; Joseph Blocker (Bale) è un capitano dell’esercito britannico che nel New Mexico dà da decenni la caccia ai nativi americani, e lo fa con estremo odio e ferocia. Un giorno il suo superiore gli assegna un compito tutt’altro che gradito: scortare verso il Montana l’altrettanto spietato capo indiano – ormai morente – Falco Giallo (l’ottimo caratterista Wes Studi), che dopo anni di prigionia ha pagato il suo debito con la giustizia e merita di finire i suoi giorni nella propria terra natale. Blocker e i suoi uomini, insieme al nativo e alla sua famiglia, inizieranno così un viaggio irto di pericoli, che li porterà prestissimo ad imbattersi in una vedova traumatizzata (la Pike) che veglia i corpi dell’amato marito e delle tre figlie, brutalmente sterminati da una spietata tribù di Comanche.
Non sorprende che la Pike si unisca subito all’improbabile gruppo, mentre lascia piuttosto esterrefatti vedere come tra i due feroci protagonisti maschili (il ‘cowboy’ e ‘l’indiano’) si sviluppi un’inspiegabile (o almeno non spiegata) amicizia e come la donna, a poche settimane da un lutto che devasterebbe chiunque, inizi a provare dei sentimenti per Blocker (senza avere nessun’altra utilità nell’economia della pellicola). Nel corso di uno svolgimento immotivatamente pretenzioso, scopriremo che nel ‘vecchio west’ quasi tutti i ‘visi pallidi’ denunciavano i soprusi verso i nativi americani e l’importanza della difesa dei loro diritti civili, e che da entrambe le parti gli squartatori di uomini avevano in fondo un cuore d’oro e, forse forse, avevano solo bisogno d’amore.
COWBOY E INDIANI: IL BUDDY MOVIE
La citazione che apre il film, tesa a sottolineare l’atavica violenza degli Americani, a fine pellicola rimane un lontano ricordo, e i terribili eventi luttuosi che coinvolgono il personaggio della Pike (quelli sì emozionanti) son relegati a un’apertura nera come la pece che verrà presto superata e dimenticata. Scott sembra voler raccontare il dolore senza un vero scopo per farlo, e per raggiungere il suo scopo sceglie di non fermarsi mai dove il buon senso suggerirebbe: chiede ai suoi straordinari interpreti di scoppiare in lacrime ogni cinque minuti, indugia sullo shock della vedova molto (ma molto) più di quanto non sarebbe necessario, sente il bisogno di esplicitare ogni sentimento con dialoghi demenziali che sembrano usciti dalle pagine di Liala.
Vedere due uomini incredibilmente rudi e feroci che, tenendosi per mano in un momento di puro bromance, si dicono «Ci siamo fatti del male e abbiamo sofferto tanto da entrambe le parti. Non guardiamo indietro… AMICO.» è demenziale, vederli affacciarsi su una vallata e affermare, con una musica maestosa di sottofondo, «Casa non è mai stata così bella!» è ridicolo e poi il finale romantico (in cui peraltro una contadina cui hanno ucciso la famiglia, distrutto casa, bruciato il raccolto e rubato i cavalli è inspiegabilmente vestita con costosissimi abiti da alta borghese) è capace si suscitare risate incontrollate – oltre a un pensiero di empatia verso il povero Christian Bale, costretto a girarlo per portare a casa la pagnotta.
UN PERSONAGGIO FEMMINILE COSÌ SBAGLIATO NON SI VEDEVA DA TANTO
Sono moltissime le cose che non funzionano in Hostiles (Ostili) soprattutto in uno script e un montaggio tanto incompleti da rendere incomprensibili (e anzi, apparentemente del tutto incoerenti) i percorsi evolutivi di personaggi che cambiano radicalmente senza un apparente motivo. Quel che però lascia più di ogni altra cosa l’amaro in bocca è il modo in cui è scritto il personaggio femminile.
Siamo ormai abituati a personaggi di donne forti, complesse: Hollywood da qualche anno cerca di superare lo stereotipo della ‘principessa da salvare’. La visione del cinema di Cooper, invece, prevede che sia ancora proponibile prendere una bella ragazza un po’ inutile e relegarla al ruolo della donnina da aiutare prima e da trasformare in interesse sentimentale poi.
Questa donna, che perde in un modo terribile i suoi affetti più cari, passerà la maggior parte della pellicola ad aggirarsene servita e riverita al fianco degli uomini forti, a dormire al caldo della tenda che ha sottratto a Bale (costretto all’addiaccio finché lei non lo inviterà nella tenda per abbracciarlo e accarezzarlo), e infine – come una macchina priva di sentimenti – ‘rimpiazzare’ marito e figlie in tempo record. Un personaggio femminile che condensa in un paio d’ore un’accozzaglia di stereotipi maschilisti sinceramente indigeribili.
In conclusione Hostiles (Ostili) è una promessa clamorosamente mancata, un film che all’inizio sembra un racconto forte e spietato su una terra di nessuno e poi diventa una storiella retorica e buonista. Si inizia in un mondo in cui tutti sembrano spietati, e si approda in una terra “mai così bella” in cui tutti si vogliono bene (mentre i personaggi continuano a morire come mosche irrilevanti, e come tali sono trattati dal regista).
Perché Monda ha scelto di aprire con Hostiles (Ostili)? Probabilmente perché Christian Bale e Rosamund Pike qui sono la quintessenza del cinema: dimostrano come un attore di straordinario talento possa essere convincente, emozionante e commovente anche con uno script che è sostanzialmente carta straccia.