Il premio Oscar Christoph Waltz, vincitore di due statuette come Miglior Attore Non Protagonista, apre il primo degli Incontri Ravvicinati previsti in agenda dalla 12˚ edizione della Festa del Cinema di Roma. Attraversando grandi interpretazioni dell’attore (da Bastardi Senza Gloria a Django Unchained – che gli sono valsi l’Academy Award – passando per Carnage, La leggenda di Tarzan e Downsizing, pellicola d’apertura alla Mostra del Cinema di Venezia), il moderatore-intervistatore Antonio Monda, direttore artistico della Festa, guida la discussione partendo dalle pellicole stesse.
Quando hai lavorato con Quentin Tarantino, quanto spazio era lasciato all’improvvisazione?
Poco, molto poco. In realtà Quentin ha una visione molto specifica dei suoi film: lui crea un vero e proprio mondo e poi vi libera il personaggio. Succede già tutto nella sua testa, io stesso fatico a stargli dietro. Comunque non c’è margine per l’improvvisazione con lui: ogni virgola delle sceneggiature di Tarantino è importante.
Cosa ammiri di più di Tarantino?
Da un punto di vista cinematografico, sono rapito dalle sue storie, dalle sue sceneggiature. L’aspetto visivo è importante, caratterizza molto i suoi film, ma è sempre e comunque funzionale alla sceneggiatura. Naturalmente apprezzo tantissimo le sue doti come regista, ma secondo me il cuore della sua poetica è nello script.
Con Polańksi, invece? Quanto è improvvisazione e quanto copione?
Io in realtà mi attengo quasi sempre alla sceneggiatura: non credo di poter migliorare quello che altre persone hanno già fatto, persone che sanno quello che fanno. Ci sono attori che lavorano molto di improvvisazione, quando possono, io invece cerco di esser sempre funzionale a quello che vogliono gli autori. Credo sia questo il vero compito dell’attore.
Che differenze individueresti tra Tarantino e Polański?
Tarantino è classico, Polański barocco.
Nella maggior parte delle pellicole ti sei ritrovato a impersonare l’antagonista. Perché interpreti così spesso il cattivo?
Ho lavorato trentacinque anni nel mondo dello spettacolo, prima di arrivare ad Hollywood. Non so nemmeno dire quante parti ho fatto, probabilmente più di 150 e ti assicuro che non ho fatto sempre la parte del cattivo. Non so perché ora vada tanto di moda associare il mio viso al ruolo dell’antagonista.
Probabilmente è una conseguenza del tuo ruolo memorabile in Bastardi Senza Gloria.
Spesso è una questione di finanziamenti: non li si ottiene in nome di uno smisurato amore per l’arte. Di solito vedono che hai reso molto bene in una determinata parte, e pongono come condizione che tu ricopra una parte simile nel nuovo film per finanziarlo. In ogni caso è divertente fare il cattivo, hai una gamma amplissima di possibilità tecniche. Sei l’antagonista, e cioè un elemento trainante nella narrazione: per me non può non essere interessante!
Come ti prepari solitamente per il personaggio?
Penso che anche la storia della preparazione sia sopravvalutata. Per interpretare un nazista non devi essere per forza fondare un campo di concentramento, e per interpretare un folle non ti devi necessariamente calare negli abissi dell’animo umano. L’immaginazione è lo strumento più importante dell’attore. Deve essere scatenata, sempre.
Consideri qualche attore come un punto di riferimento?
Non direi che ce ne sia uno fisso: cambiano a seconda dei personaggi che interpretano e cambiano con i miei gusti, nel tempo. Per esempio, quando avevo vent’anni pensavo che Marlon Brando fosse il miglior attore mai esistito, ora non riesco quasi più a vedere i suoi film. Il tuo punto di riferimento può non fare sempre un buon lavoro, e io penso che l’ammirazione non debba mai diventare idealizzazione.
Se dovessi scegliere un film preferito – uno soltanto – quale sceglieresti?
Potrei darti una risposta, ma tra mezz’ora sarebbe diversa: l’ammirazione, ripeto, non deve diventare idealizzazione. Dobbiamo vivere il cinema momento per momento.