Nessuno può osservare i nostri pensieri, desideri e ambizioni quanto noi stessi, questo è l’assunto alla base di Nadie Nos Mira – Nobody’s Watching, lungometraggio di Julia Solomonoff in concorso alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, dopo il passaggio al Tribeca Film Fest 2017.
UN FILM MULTICULTURALE SULLA RICERCA INTERIORE
La regista argentina, che vive e lavora a New York racconta la storia di Nico (Guillermo Pfening) un attore molto famoso in Argentina per il suo ruolo da coprotagonista in una telenovela di successo. Alla soglia dei trent’anni Nico abbandona momentaneamente la sua promettente carriera per tentare di sfondare nel cinema statunitense, trasferendosi a New York dove, per impiegare il tempo libero tra un’audizione e l’altra, si occupa del piccolo Theo, figlio della sua amica Andrea (Elena Roger). Un babysitter sui generis che sembra trovare nei bambini e nel mondo delle tante ragazze sudamericane, che affollano i parchi di New York il posto nel mondo che sta tanto cercando.
Nico non sta solo tentando una carriera a stelle e strisce ma sta sfuggendo ad un amore impossibile che lo sta logorando nel profondo.
LA REGISTA PROPONE UNA NUOVA INTERPRETAZIONE DEI FENOMENI MIGRATORI
Julia Solomonoff propone un contrasto tra l’essere e il divenire sullo sfondo di una New York multiculturale che sembra però non esserlo autenticamente. La questione dell’immigrazione verso un altro paese viene esposta attraverso la storia di Nico, alto, biondo e con una grande voglia di lavorare, che trova però una discriminazione al contrario. Il suo aspetto non corrisponde infatti all’ideale di “latino” che produttori e registi americani ricercano, allo stesso tempo le difficoltà linguistiche non gli consentono di interpretare ruoli credibili in inglese. Le difficoltà lavorative che Nico incontra si riversano irrimediabilmente sulla sua condizione psicologica e fisica.
La regista si trova in questo modo a sottolineare come l’integrazione non sia un fenomeno scontato e a dimostrare che questo assunto è valido per qualsiasi fascia sociale. Il film fotografa lo stato d’animo di un uomo che sembra aver perso tutto lasciando casa ed affetti in Argentina, ma anche la crescita individuale che deriva dall’esplorare un mondo nuovo, per quanto ostile possa essere.
Guillermo Pfening interpreta con grande forza e credibilità il protagonista Nico, caratterizzandolo con una malinconia costante che scompare solo nei momenti in cui si distacca completamente dai pensieri che affollano la sua mente, dal difficile rapporto con il produttore Martin (Rafael Ferro) alla paura di essere sconfitto da un sistema che è molto più grande e potente delle sue possibilità.
La regia riesce con grande naturalezza a catturare i momenti più intimi di Nico ma mantenendo sempre le inquadrature ampie, in modo tale da poter descrivere il contesto in cui il protagonista si trova.
Un film sofisticato, diretto e interpretato con coerenza ma che si perde nella struttura della sceneggiatura, limitata all’esplorazione di un unico stato d’animo. I dialoghi risultano troppo essenziali e circoscritti e la denuncia sociale che la regista propone è poco tagliente, passando quasi inosservata. Tuttavia la regista descrive molto bene la sensazione di anonimato provata dal protagonista, un essere umano come tanti di cui si nutre una metropoli come New York.