Insyriated, presentato alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, può essere preso come perfetto esempio di un “film da festival” e, nello specifico, di un festival come la Berlinale.
La pellicola ha infatti debuttato nella sezione Panorama della kermesse tedesca, dove ha conquistato l’importante premio del pubblico.
L’ultimo lavoro di Philippe Van Leeuw è un film sulla guerra, sulle implicazioni di un contesto politico a dir poco complesso e sulla difficile vita di una città come Damasco. Il regista e sceneggiatore racconta allo spettatore cosa vuol dire vivere ventiquattr’ore in una casa dalla quale non si può uscire e all’interno della quale si deve razionare tutto; dove si deve rinunciare a bisogni primari come l’acqua per lavarsi o un pezzo di pane in più quando si ha fame.
Protagonista è l’energica Oum Yazan, che cerca disperatamente di tenere insieme la propria famiglia mentre fuori imperversa la guerra. Attorno a un largo tavolo per il pranzo, ognuno cerca di farsi ascoltare sovrastando il frastuono delle bombe e dei mitra. C’è acqua a malapena e uscire dalla porta significherebbe esporsi ai cecchini che attendono sui tetti.
Nella casa accanto una giovane coppia pianifica però la fuga. In superficie si sentono dei rumori minacciosi. Chi è che bussa alla porta? Potrebbe essere il marito che Oum Yazan sta aspettando con così tanta ansia, oppure è qualcuno che, fuori, cerca oggetti di valore? Pochi colpi bastano a calare lo spettatore nello stato di emergenza permanente che è la guerra. L’appartamento che una volta era il focolare domestico diventa una prigione.
Insyriated si trova perfettamente a metà tra il cinema di genere e quel cinema art-house che spopola in festival così attenti alla situazione politica e sociale del mondo come quello di Berlino. Il risultato di questa commistione è uno strano prodotto, lungo soltanto ottantacinque minuti, nel quale si passa da strepitose sequenze thriller (come la minaccia di violenza sessuale) a molti altri passaggi che, oltre ad essere alle volte eccessivi, si rivelano sostanzialmente inutili (come la sequenza della madre che si adagia sul tavolo).
Purtroppo a prevalere è il melenso, il superfluo e il sentimentale. Al netto di interpretazioni incredibili, su tutte quella di Hiam Abbass (non a caso presente anche nel recente Blade Runner 2049), Insyriated è una pellicola che si rovina come le proprie mani, rinunciando alla tensione tipica di un home invasion, per favorire quella componente d’essai che porta i film ai festival e aiuta loro a vincere premi.
In conclusione, il film di Philippe van Leeuw appare più come una intelligente manovra di mercato che come un film pienamente sincero. Insyriated prova a entrare “sotto pelle” allo spettatore attraverso la sua componente iper-drammatica, scuotendo la coscienza civile di chi guarda gli eventi sullo schermo. Tuttavia, il lavoro sembra sempre finto e costruito a tavolino, piuttosto che vivo e vibrante – come invece avrebbe potuto essere.