Se il nome di Chuck Palahniuk è noto a tutti gli appassionati di letteratura contemporanea, quello della sua opera prima – Fight Club – è sinonimo di un vero e proprio fenomeno culturale di culto, che deve ovviamente la grandissima popolarità all’omonimo film di David Fincher.
Lo scrittore e giornalista statunitense di lontane origini ucraine, classe 1962, da quel folgorante debutto ha collezionato una crescente serie di successi (tra i quali Invisible Monsters, Soffocare, Diary, Rabbia), che ne hanno fatto uno dei più influenti protagonisti del mercato editoriale contemporaneo.
Ora che Antonio Monda l’ha invitato a partecipare a uno dei suoi Incontri Ravvicinati alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, abbiamo avuto l’opportunità di approfondire interessanti spunti sulla sua arte e la sua carriera. Ecco un resoconto del suo incontro col direttore della kermesse cinematografica romana.
Il successo di Fight Club la colse di sorpresa? In che modo influenzò la sua futura carriera?
Fight Club non ebbe successo: Il libro vendette meno di cinquemila copie. Il film stette pochissimo nelle sale e non guadagnò assolutamente nulla. Tutti credevamo che la nostra carriera sarebbe finita lì; io, David (Fincher) e tutti coloro che avevano aiutato a produrre il film. Addirittura un critico cinematografico disse: “Fight Club troverà sicuramente il suo pubblico all’inferno. Perché è a quel luogo che appartiene”. L’ anno dopo uscì una bellissima versione in DVD e da lì Fight Club cominciò finalmente ad avere successo. Inizialmente però fallimmo su entrambi i fronti: film e libro.
Anziché scrivere il seguito di Fight Club come romanzo, lo ha scritto sotto forma di graphic novel. Ci può spiegare perché ha optato per un fumetto?
Perché era una terza cosa. Esistevano già il libro e il film. Volevo fare qualcosa di diverso e, nel fare ciò, sentivo il forte bisogno di collaborare con altri artisti. Lavorare ad una graphic novel mi ha dato la possibilità di conoscere dei grandissimi autori, di collaborare con persone con le quali mi divertivo e stavo bene.
Inoltre, ogni mezzo di espressione ha i suoi vantaggi. La graphic novel ci ha permesso di fare lavorare in un modo che il cinema e i libri non ci permettevano. Sono molto contento di questa scelta.
Quando scrive, immagina già una eventuale trasposizione cinematografica? Glielo chiedo perché molte volte chi vede il film, se ha letto il romanzo da cui esso è stato tratto, rimane deluso.
Io volevo e voglio scrivere libri, non film. Volevo scrivere cose che al cinema non possono essere filmate. Oltretutto, i film, per avere successo, li devono vedere tantissime e tantissime persone. Con i libri è diverso: un lettore si deve sforzare, deve faticare per immaginare la storia nella sua testa e deve anche essere abbastanza istruito per comprenderla in pieno.
Per quanto riguarda il rapporto tra libro e film: è impossibile stabilire cosa sia meglio. Tante volte capita il contrario, ovvero sento persone dire “Il film è fantastico, ma con il libro nemmeno mi ci pulirei il culo”.
È vero che alla lettura di un suo racconto sono svenute delle persone?
Sono svenute in tutto 73 persone, poi ho smesso di contare… È stato mentre leggevo un racconto che si chiama Budella (titolo originale Guts, pubblicato su Playboy nel 2004.) Una storia molto breve, da circa una decina di pagine. Sono molto fiero di questo, poiché dimostra quanto le storie siano potenti. Soltanto parole; niente attori, musica o registi. Solo parole.
Nei suoi romanzi la violenza è sempre presente. Crede che essa possa essere una forza mi comunicazione?
La violenza, per me, è sempre consensuale. Per questo Fight Club ha tutte quelle regole: perché ci sia violenza, ci deve essere consenso e, pertanto, delle regole.
La mia generazione è scappata dalla violenza e io, invece, la voglio inserire sempre nelle mie opere. Voglio che i miei libri abbiano sempre degli elementi molto fisici. Non voglio che lo spettatore si connetta soltanto a livello intellettuale o psicologico: il sesso, la droga e la violenza sono fondamentali per creare una profonda connessione fisica.
Come è lavorare con David Fincher?
Ai tempi del casting per Fight Club, Courtney Love viveva con Edward Norton. Desiderava talmente tanto fare la parte di Marla Singer, che spesso andava a cena con David Fincher o usciva con lui vestita come Marla e parlando come lei, nella speranza che lui la ingaggiasse. Ma David pensava che la scelta fosse troppa ovvia, scontata.
Mi spiegò allora ciò che aveva in mente per il personaggio di Marla Singer e perché scelse Helena Bonham Carter: “Marla deve assomigliare a Judy Garland… però morta. Helena è perfetta come Garland morta”.
Con David non ci lavori, al massimo ci vai d’accordo.