Tra le varie proposte della selezione ufficiale della 12. edizione della Festa del Cinema di Roma c’è anche spazio per i cineasti emergenti: uno di questi è il regista norvegese Jonas Matzow Gulbrandsen, che presenta all’interno della rassegna guidata dal direttore artistico Antonio Monda la sua opera prima, Valley Of Shadows (pellicola che ha fatto già parlare di sé al Toronto international Film Festival).
UN BAMBINO ALLA RICERCA DI UN LICANTROPO
In un piccolo villaggio della Norvegia, il giovanissimo Aslak (Adam Ekeli) vive con la madre Astrid (Kathrine Fagerland). Un giorno accade un evento luttuoso che scuote la famiglia, con Astrid che non riesce a gestire bene la situazione e il piccolo Aslak che non comprende cosa sia successo. Un amico del bambino mostra ad Aslak i resti di tre pecore dilaniate durante la notte di luna piena, arrivando alla conclusione che il responsabile sia un licantropo. In cerca di risposte, Aslak si avventura nel bosco vicino casa sua.
91 MINUTI DI STERILE BELLEZZA
Il successo di pubblico e critica ottenuto da The Witch ha riportato in auge un certo tipo di thriller/horror dal taglio autoriale e dal gusto estetico molto sofisticato. L’esordiente Gulbrandsen confeziona un film di difficile fruizione ma dalla ricercatezza visiva notevole: Valley Of Shadows è innanzitutto un’opera dalle atmosfere gelide e sognanti. Come spesso succede nel cinema scandinavo, l’ambiente circostante recita un ruolo rilevante all’interno della storia come se fosse un vero e proprio protagonista; in questo caso i bellissimi paesaggi e i boschi della Norvegia ci mostrano il fascino misterioso della natura selvaggia, in grado di stimolare l’immaginario popolare (come ad esempio le fiabe nordiche). Valley Of Shadows, sospeso costantemente tra realtà e fantasia, è l’odissea (quasi mitologica) di un bambino alla ricerca di risposte che probabilmente non troverà mai ma che si mette pericolosamente in gioco per fugare tutti i suoi dubbi.
I punti di forza del lungometraggio sono indubbiamente la regia e la fotografia (curata dal fratello maggiore del cineasta, Marius Matzow Gulbrandsen): si capisce già dalla prima inquadratura il grande lavoro svolto sulla composizione dell’immagine e la grande passione del giovane autore per il cinema art house (in un’intervista ha dichiarato di ammirare registi come Mizoguchi, Dreyer e Bergman) scegliendo di girare l’opera in 35mm, nonostante la comodità del digitale.
Le qualità appena descritte, considerando anche le ottime prove del cast (Adam Ekeli è un giovane attore davvero bravissimo), sembrano lasciar intendere che Valley of Shadows sia un grande film però l’opera prima di Gulbrandsen ha due grossi problemi: i tempi dilatati ai limiti dell’esasperazione e una sceneggiatura priva di spunti davvero interessanti. La scelta stilistica di confondere lo spettatore sull’esistenza reale o fittizia del licantropo poteva anche essere azzeccata tuttavia il ritmo lentissimo non permette alla pellicola di creare suspence (i 91 minuti del lungometraggio si percepiscono come se fossero tre ore) e, altro difetto considerevole, l’estetica si mangia completamente il plot narrativo, ridotto ai minimi termini.
In definitiva Valley of Shadows è una pellicola adatta per un pubblico prettamente cinefilo, disposto a lasciarsi conquistare dalle splendide immagini di un prodotto audiovisivo ostico ma dalla forte identità.