Secondo una classifica stilata da Brand Finance, la Ferrari è uno dei marchi più potenti al mondo (il più forte per quanto riguarda le auto). Le macchine dell’azienda fondata da Enzo Ferrari sono un vero e proprio status symbol e questo lo si deve, oltre che per l’altissima qualità delle autovetture, anche per i grandi risultati ottenuti in Formula 1 (la Ferrari è, al momento, la scuderia più titolata). La leggenda nacque negli anni Cinquanta, agli inizi della competizione motoristica per eccellenza, dove i piloti – figure quasi mitologiche – rischiavano la vita in ogni Gran Premio: è questo il tema principale di Ferrari: Un Mito Immortale, il documentario inglese del regista Daryl Goodrich presentato alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma.
IL CORAGGIO E L’INCOSCIENZA DEI PRIMI PILOTI FERRARI IN F1
Il film parla dei piloti che, negli anni Cinquanta, hanno fatto sognare gli appassionati di Formula 1 di tutto il mondo, concentrandosi soprattutto sulle gesta dei britannici Peter Collins e Mike Hawthorn (vincitore del campionato nel 1958) ma anche di altre personalità leggendarie come Luigi Musso e Alfonso de Portago. Oltre alla Ferrari, cosa accomuna tutti questi piloti? Essere deceduti in tragici incidenti stradali. Questi uomini senza paura accettavano il rischio mortale di spingere le vetture sportive fino al limite e di questo ne era perfettamente consapevole anche il patron Enzo Ferrari, che per amore incondizionato verso i motori e la competizione era disposto a tutto pur di vincere.
IL RITRATTO DI UNA FIGURA LEGGENDARIA E CONTROVERSA
Attraverso l’utilizzo di immagini e filmati dell’epoca, Daryl Goodrich racconta una Formula 1 molto lontana da quella che conosciamo noi oggi, in cui gli standard di sicurezza praticamente non esistevano e il rischio di trovare la morte in pista era dietro l’angolo (nel 2017 correre nelle condizioni degli anni Cinquanta sarebbe impossibile). Il film si concentra sulla grande amicizia tra Collins e Hawthorn, legati da un rapporto personale e professionale unico nella storia delle corse automobilistiche; inoltre il racconto della vita di Musso e di Alfonso de Portago (un nobile diventato pilota per il gusto del pericolo) ci fanno capire come questi uomini d’altri tempi considerassero la loro professione come una vera e propria missione, la stessa che spingeva Enzo Ferrari a concepire le migliori supercar del mondo.
Enzo Ferrari, un’istituzione dell’automobilismo straordinaria e controversa: il documentarista descrive il patron della scuderia di Maranello come un personaggio complesso, contraddittorio, poco incline al dialogo e fortemente accentratore. Il fondatore del Cavallino Rampante non ne esce benissimo dal film di Goodrich: considerato da molti un vero e proprio dittatore (celebre la frase di Olivier Gendebien “Ferrari? Mussolini sarebbe un bambino di fronte a lui”), l’imprenditore modenese non si faceva molti scrupoli sulle condizioni dei suoi piloti (“Più li metti a disagio e meglio correranno”) e, nel suo lavoro, non guardava in faccia a nessuno perché era mosso da un unico obiettivo, far diventare la Ferrari un’eccellenza (sportiva e non) mondiale.
Il docufilm, che sarà disponibile in home video dal 6 dicembre distribuito da Universal Pictures Home Entertainment Italia, è la testimonianza di un periodo storico estremamente affascinante ma, grazie alla tecnologia, definitivamente superato (a vantaggio della sicurezza dei campioni della Formula 1 di oggi).