Di commedie in Italia se ne produce una quota impressionante, e il più delle volte si ha l’impressione di assistere alla stessa idea trita e ritrita. La Casa Di Famiglia, esordio alla regia per l’attore Augusto Fornari che Vision Distribution ha portato in sala giovedì 16 novembre, riesce quantomeno a distinguersi con un soggetto di quelli – se non innovativi – semplici, efficaci e facilmente esportabili.
Alex (Lino Guanciale), Oreste (Stefano Fresi), Giacinto (Libero De Rienzo) e Fanny (Matilde Gioli) sono quattro fratelli il cui padre è in coma da cinque anni. Per affrontare delle difficoltà finanziarie, i protagonisti decidono di vendere la grande villa di proprietà del genitore – nonché i mobili al suo interno. La scelta di disporre anzitempo dell’eredità si rivelerà a dir poco avventata quando il padre Sergio (Luigi Diberti), a compravendita avvenuta, si risveglierà miracolosamente nel suo letto d’ospedale: i dottori raccomanderanno una tranquilla degenza nella casa di famiglia, e a quel punto i protagonisti dovranno escogitare mille espedienti pur di non far scoprire nulla all’uomo.
L’idea di base è accattivante e lo script scritto a otto mani dal regista con Toni Fornari, Andrea Maia (ideatore anche del soggetto) e Vincenzo Sinopoli, pur barcollando su qualche incertezza, è ben scritto, scorre – almeno fino a un finale un po’ grossolano – e, soprattutto, diverte.
Le dinamiche messe in scena dagli interpreti funzionano e se Stefano Fresi è impeccabile come suo solito e Lino Guanciale è una perfetta scelta di casting per il ruolo del farfallone che parla sempre fuori luogo, il bravo Libero De Rienzo sembra risentire di qualche cliché di troppo impostogli in fase di scrittura, mentre la splendida Matilde Gioli migliora a ogni pellicola ma ancora ha bisogno di trovare una vera naturalezza.
La regia è fin troppo raffinata per essere un debutto, anche se qualche momento più farraginoso emerge a tratti, ma a penalizzare il risultato d’insieme impedendogli di spiccare il volo sono due elementi che rappresentano il tallone d’Achille delle commedie nostrane e sui quali i nostri cugini d’Oltralpe continuano a darci lezioni su lezioni: parliamo della fotografia e delle musiche.
Sembra che quando si debbano confezionare storie leggere e divertenti si debba ricorrere a immagini dai colori poco interessanti e dalla composizione approssimativa. Se sicuramente le ragioni dietro una certa trascuratezza possono essere quella di privilegiare l’illuminazione naturale per contenere il budget (rafforzandola con qualche filler) e quella di stare nei tempi che immaginiamo contingentati di una produzione tutt’altro che faraonica, al contempo viene da pensare che il più grande autore della fotografia italiano, Luca Bigazzi, lavora proprio con le luci ambientali e che registi come Genovese, senza una fotografia meravigliosamente curata, godrebbero probabilmente di ben altra considerazione.
Va detto che in questo caso a Sebastiano De Pascalis riesce comunque a sorprendere con una ricchezza di idee decisamente interessante (il riferimento è ad esempio alla scena in cui i traslocatori vengono mostrati tramite silhouette che formano delle lettere), ma una maggiore cura del risultato finale avrebbe sicuramente colmato il divario con analoghe produzioni di genere internazionali.
Il commento musicale poi, che porta la firma di Gianluca Misiti, pur onesto e ben realizzato, trascina il tutto verso un’atmosfera insignificante e piatta, in cui la totale assenza di idee è colmata da soluzioni sonore del tutto prevedibili. Se il regista avesse adottato in fase di montaggio delle temp music comprate in stock, il risultato sarebbe probabilmente indistinguibile. Eppure basterebbe così poco per costruire un po’ d’atmosfera e contribuire all’identità di un film…
In conclusione La Casa Di Famiglia è un lavoro leggero che si colloca al fianco dei molti prodotti analoghi presenti sul mercato, ma che vanta un livello piuttosto alto – considerata l’inesperienza di molti dei professionisti coinvolti – e che soprattutto riesce a far passare una serata al cinema allegra e mai volgare. Con qualche accorgimento in più sarebbe stato un lavoro degno di nota, pertanto non rimane che augurare a Fornari e ai suoi collaboratori di iniziare a dedicarsi il prima possibile a un nuovo progetto per correggere il tiro su qualche imperfezione, prendendo magari come punto di riferimento i propri colleghi francesi.