David Simon c’è riuscito di nuovo: The Deuce, il nuovo period drama targato HBO (in Italia un’esclusiva Sky Atlantic), è la nuova, grande opera di uno degli showrunner più influenti della televisione. Dopo The Wire, Generation Kill, Treme e Show Me A Hero, il giornalista e sceneggiatore, assieme a George Pelecanos, racconta ancora una volta il lato più oscuro e controverso di una nazione, gli Stati Uniti, che si autodefinisce il miglior paese al mondo nonostante i suoi grandi problemi, raccontati dettagliatamente e senza filtri negli ultimi anni dal piccolo schermo in maniera più efficace rispetto al cinema.
LA NY DEGLI ANNI ‘70 TRA SESSO E CRIMINALITÀ
The Deuce è ambientato nel periodo in cui l’industria pornografica comincia a prendere piede in America, agli inizi degli anni Settanta (la Danimarca fu il primo paese al mondo a legalizzare la produzione cinematografica hard nel 1969). Nel malfamato quartiere newyorkese del Deuce, dove non mancano droga e prostituzione, vivono Vincent Martino (James Franco) ed Eileen “Candy” Merrell (Maggie Gyllenhaal): il primo è un barista che accetta, assieme al gemello Frankie, di lavorare per conto della mafia italo-americana mentre Candy è una prostituta che vede nella nascente industria del porno una possibilità per sbarcare il lunario, economicamente e artisticamente.
Un normale sceneggiatore, avendo a disposizione grandi star come James Franco e Maggie Gyllenhaal, avrebbe trasformato The Deuce nel loro show personale ma David Simon non è un autore televisivo come gli altri. Ovviamente le storylines dei due attori sono molto importanti ma grande spazio è dedicato anche ai numerosi characters secondari (non dimentichiamoci che lo showrunner è colui che in The Wire, per esigenze narrative, ha tolto di scena il suo protagonista per un’intera stagione). The Deuce è una serie corale, in pieno stile Simon: dai papponi Larry e Rodney (Gbenga Akinnagbe e il rapper Method Man) a Bobby (Chris Bauer), passando per la studentessa Abby (Margarita Levieva), il poliziotto Chris (Lawrence Gilliard Jr.) e il mafioso Rudy (Michael Rispoli), tutti i personaggi che popolano questo microcosmo degradato ma estremamente affascinante sono fondamentali ai fini della trama.
UNA PRODUZIONE AI LIVELLI DEL GRANDE CINEMA
The Deuce è una serie che non ha assolutamente nulla da invidiare al cinema d’autore: oltre alla solida sceneggiatura, la Grande Mela degli anni ‘70 è stata ricostruita in maniera impressionante da Simon e soci. Anche per quanto riguarda la regia e la fotografia, sembra di assistere ad un grande film della New Hollywood per messa in scena, senza alcun timore di mostrare scene forti; il merito va a tutti i registi che si sono alternati, in primis Michelle MacLaren (Breaking Bad, Game Of Thrones, The Leftovers, Westworld) e lo stesso James Franco, dietro la macchina da presa in due episodi.
Un plauso inoltre va a tutti gli interpreti dello show, davvero credibili e bravissimi ma ad emergere (of course) è il carismatico attore californiano (incredibile nell’impersonare due fratelli dal carattere completamente diverso) ma soprattutto Maggie Gyllenhaal: un’attrice affermata come lei poteva tranquillamente non accettare un ruolo così delicato ma ha avuto la forza di mettersi in gioco con un personaggio che ricorda molto la prostituta Ophelia di Una Poltrona Per Due (in versione decisamente più drammatica). L’interpretazione della Gyllenhaal è straordinaria per intensità e coraggio, tale da permetterle di diventare una forte candidata per la vittoria dell’Emmy il prossimo anno (basta vedere questa scena per farsi un’idea della sua prova).
LE CONTRADDIZIONI DELL’AMERICA DI IERI PER RACCONTARE IL PRESENTE
Un progetto come quello di The Deuce poteva avere una sorte simile a quella di Vinyl, serie HBO ambientata anch’essa negli anni ’70 e cancellata dopo una sola stagione per i bassissimi ascolti (in proporzione al grande investimento iniziale): perché Vinyl è stato un flop mentre The Deuce ha convinto tutti, tanto da essere rinnovato per una seconda stagione? Perché l’opera di David Simon, come i migliori period drama, parla del presente raccontando una storia di più di quarant’anni fa. Come in The Wire, lo showrunner denuncia la corruzione e le politiche ottuse della polizia che dovrebbero contrastare il crimine ma ottengono invece l’effetto opposto; inoltre ritrae una generazione che, pur di non passare la vita nelle deprimenti zone rurali del Midwest, è disposta a fare qualunque cosa, persino a prostituirsi (alla mercé di protettori spregiudicati). Un principio in contraddizione con l’anima benpensante dell’America ma che Simon evidenzia con grande forza: lo spietato perbenismo statunitense resiste solo fino a quando non genera soldi altrimenti può essere facilmente aggirato, come sintetizza la battuta di Candy sulla futura legalizzazione del mercato del porno: “Siamo americani, quando mai lasciamo raccogliere un fottuto dollaro a qualcun altro?”. Per la cronaca, l’industria a luci rosse americana ha oggi un giro d’affari di una decina di miliardi di dollari l’anno (il più florido al mondo).
The Deuce riporta in auge un certo modo di fare televisione che ha permesso alla HBO, grazie ai suoi indimenticabili show, di diventare il network di riferimento della rivoluzione televisiva degli ultimi 15 anni; la serie di Simon non è un prodotto per tutti ma è indiscutibilmente una delle novità più importanti del 2017.