Quando nel 2009 Guy and Madeline on a Park Bench, stravagante opera prima di uno sconosciuto Damien Chazelle, fece capolino al concorso del Torino Film Festival nessuno avrebbe potuto immaginare di trovarsi di fronte ad un autore che da lì a qualche anno sarebbe diventato il più giovane regista della storia degli Oscar a portarsi a casa sette statuette con il suo La La Land. Dopotutto la lista dei talenti scoperti sotto la mole è lunga e vede nomi eccellenti come David Gordon Green, Chen Kaige, Debra Granik, Pablo Larraín (quest’anno Presidente di Giuria del Festival): insomma, fare attenzione a quello che si proietta a Torino è, ogni anno, sempre buona cosa. Ecco dunque una breve guida per orientarsi nello sconfinato programma dei film in rassegna che a questo giro conta 134 lungometraggi (di cui 36 anteprime mondiali e 59 anteprime italiane) con un elenco dei titoli più interessanti per ogni sezione: tutti quei film che consigliamo vivamente di non lasciarsi sfuggire.
Concorso Torino35
Fra i titoli del concorso (che ospita opere prime, seconde o terze) ci sono tre esordienti assolutamente da tenere d’occhio. Il primo è Andrea Tagliaferri con Blue Kids, film prodotto da Matteo Garrone (di cui Tagliaferri è stato l’assistente) che racconta un rapporto morboso tra un fratello e una sorella in fuga da un padre con cui sono in conflitto. Il secondo è il portoghese Pedro Pinho che presenta A Fabrica de nada, lavoro che ha già meravigliato la Quinzaine des réalisateurs all’ultimo Cannes per la capacità di raccontare la lotta degli operai di una fabbrica attraverso l’estetica del musical. Il terzo è Jun Tanaka, già acclamato in patria come un degno successore di Kiyoshi Kurosawa (per intenderci il padre del J-Horror) che con il suo Bamy promette “ombrelli rossi che cadono dal cielo” e visioni di fantasmi, in un’affascinante opera prima misteriosa e minimalista. Oltre ad alcuni esordi promettenti ci sono anche volti più conosciuti: è il caso di Steve Buscemi reclutato dal francese Armando Iannucci per The death of Stalin (black comedy a metà fra storia e farsa) e di Isabelle Huppert che recita in Barrage di Laura Schroeder (ritratto tutto femminile nel quale si confrontano tre generazioni di donne).
Festa mobile
Come ogni anno il concorso è accompagnato da una sezione non competitiva, Festa Mobile, che recupera il meglio dai Festival di tutto il mondo: qui la lista dei film da cerchiare sul programma sarebbe lunghissima, ma vale la pena citare almeno cinque titoli. Iniziamo con Wind River di Taylor Sheridan, alla sua prima regia e alla sua terza sceneggiatura (dopo Sicario e Hell or High Water) che approccia al tema della frontiera americana, in un esordio già ben accolto alla Certain Regard dell’ultimo Cannes. Sempre reduce da ottime impressioni della croisette c’è Tesnota del russo Kantemir Bagalov, uno degli allievi più fedeli e promettenti di Alexander Sokurov, da segnalare insieme a Kings della regista turca-francese Deniz Gamze Ergüven (quella di Mustang), che ci mostra la rivolta di Los Angeles del 1992 dirigendo, fra gli altri, anche Daniel Craig. Chiudiamo la lista con due film decisamente originali: La Cordillera dell’argentino Santiago Mitre che racconta un vertice (fanta)politico sulle ande fra i Presidenti dell’America Latina e Tito e gli Alieni dell’italiano Paolo Randi, pellicola che vede protagonista Valerio Mastandrea nelle vesti di uno scienziato confinato nell’Area 51, in un ibrido ufologico di citazioni anni ‘80, fantasmi del passato e desideri d’amore.
Afterhours
Chi invece preferisce immergersi nel cinema di genere anche quest’anno Torino offre Afterhours, una sezione appositamente pensata per le pellicole più estreme, capaci di sorprendere, spiazzare e – naturalmente – inquietare. Ad attirare l’attenzione sono innanzitutto due zombie-movies: Les Affamés di Robin Aubert (grande ammiratore di Robert Bresson e Andrei Tarkovski), film già vincitore a Toronto come miglior opera canadese e The Cured dell’irlandese David Frayne (interpretato, fra gli altri, da Ellen Page) che approccia al tema dei “morti viventi” in modo decisamente originale: raccontando ovvero un’ipotetica cura a cui sono sottoposti gli zombies con l’obbiettivo di reintegrarli nella società. Dagli Stati Uniti sono invece da spuntare The Sequence Break di Graham Skipper, presentato come un esplicito omaggio al cinema “tecno-carnale” di Cronenberg (complici anche i videogiochi 8-bit degli anni Ottanta) e il nuovo film diretto (co-prodotto e interpretato) da James Franco, The Disaster Artist, coraggioso biopic su Thomas Pierre “Tommy” Wiseau. Per chi non lo sapesse Wiseau è un regista/attore americano sgangheratissimo che nel 2003 realizzò The room, progetto passato alla storia del cinema come “il peggior film di sempre” ma che, manco a dirlo, nel frattempo è diventato un cult. Non manca anche quest’anno la presenza a Torino del maestro giapponese Sion Sono con Tokio Vampire Hotel, miniserie sanguinolenta prodotta da Amazon che mostra senza troppe censure una guerra tra clan vampireschi nella città omonima mentre per i più coraggiosi (o per i più insonni) il must è la notte horror di sabato 25 novembre: si entra a mezzanotte e si esce all’aba, dopo tre proiezioni da brivido da fare una dopo l’altra.
Documentari e Onde
Accanto al cinema di fiction restano presenti le sezioni dedicate ai documentari internazionali (Internazionale.doc) e italiani (Italiana.doc), con un panorama vastissimo di opere in concorso e fuori concorso. Da queste parti vale la pena ritagliarsi del tempo per Chronicles of the time of troubles del russo Vladimir Eysner, che racconta la dissoluzione dell’Unione Sovietica e per ‘77 Commercial Use dell’italiano Luis Fulvio, un documento sul fervido movimento politico-creativo del 1977. C’è poi tutta la sezione Onde dedicata al cinema fuori formato, quello più sperimentale e alla continua riscoperta delle potenzialità del linguaggio cinematografico. Fra tutti i titoli in programma quello della portoghese Teresa Valleverde, più volte selezionata e in gara a Venezia e Cannes, è assolutamente da cerchiare sul programma: il suo Colo (già in concorso alla 67° Berlinale) è un drammatico spaccato su una famiglia portoghese alle prese con la crisi economica, fra destabilizzazione sociali e isolamenti forzati.
Brian De Palma, Non dire gatto e Amerika
Ma Torino rimane uno dei Festival più prestigiosi anche e soprattutto per la (ri)proposta del cinema del passato: le tre retrospettive in programma offrono delle chicche introvabili, alcune assolutamente imperdibili. In quella dedicata a Brian De Palma si trova veramente di tutto, perfino i suoi primissimi cortometraggi studenteschi (Woton’s Wake del 1962) alcuni documentari improvvisati (The responsive eye del 1966) e il suo vero esordio nel lungometraggio (The Wedding Party, distribuito nel 1969 ma girato nel 1963). E mentre per Non dire gatto, retrospettiva dedicata al cinema felino, non si può mancare alla proiezione sul grande schermo di Black Cat (Lucio Fulci, 1981), in Amerikana, rassegna curata dalla Guest Director Asia Argento, ci sentiamo di consigliare uno dei film più belli (e sottovalutati) di Dennis Hopper: Out of the blue (1980), meraviglioso colpo di coda della New Hollywood, con la colonna sonora firmata da Neil Young e con i monologhi del protagonista che i Primal Scream decisero di campionare diciassette anni fa per la loro Kill All Hippies.