Dopo la sua apparizione in una manciata di sale nel 2003, The Room di Thomas Wiseau fu definito come uno dei peggiori film realizzati nella storia del cinema, tanto che un professore universitario, Ross Morin, lo definì come un “Quarto Potere dei film brutti”. Recitazione approssimativa, trama scontata, buchi narrativi ed errori grossolani di continuità: Wiseau, che ne era regista, protagonista, produttore e distributore passò alla storia per aver partorito un film costato circa 6.000.000$ e che incassò appena duemila dollari. Fin qui tutto bene (tutto male), tranne per il fatto che con il tempo proprio The Room è diventato un oggetto di culto. Complice il circuito delle proiezioni di mezzanotte, l’esordio di Wiseau riuscì negli anni a entusiasmare varie nicchie di pubblico che iniziarono a sbellicarsi di fronte a un film in apparenza drammatico e dando vita a vere e propri happening in cui il film non solo veniva visto, ma commentato, spiegato e perfino emulato, con gli spettatori che lanciavano verso lo schermo dei cucchiaini di plastica ogni volta che le posate apparivano in una scena del film. L’incomprensibile fenomeno sociale di The room, nato come fallimento totale di Wiseau e risorto successivamente quasi come prodotto di tendenza, ha convinto James Franco a dirigere, co-produrre e interpretare The Disaster Artist, “film nel film” che racconta la genesi dell’opera prima di Wiseau e che è stato presentato al Torino Film Festival nella sezione Afterhours.
LA FOLLE GENESI DI THE ROOM
Si parte dal 1998 per raccontare la parabola di Thomas Wiseau (James Franco), dal suo primo incontro con l’attore Greg Sestero (interpretato dal fratello di James, Dave Franco) con cui diventerà poi inseparabile – fino alla loro idea di trasferirsi a Los Angeles per fare fortuna come attori. Il successo che non arriva, le porte chiuse e la spietata competitività di Hollywood non scoraggiano i due, anzi. Wiseau e Sestero decidono di fare a meno del “sistema” e di realizzare un film insieme. Dopo aver scritto l’improbabile sceneggiatura di The Room, ispirata in parte alla drammaturgia di Tennessee Williams, Wiseau – con un budget la cui provenienza rimane inspiegabile – compra le attrezzature necessarie, recluta gli attori e raduna una troupe professionale. Nell’agosto del 2002 si apre uno dei set più sgangherati e folli della storia del cinema, tanto surreale da far impallidire quello fittizio de Gli occhi del cuore raccontato dalla serie Boris.
UN OMAGGIO AL CINEMA ‘INCONSAPEVOLE’
Nonostante le premesse, Franco si guarda bene dal trasformare The Disaster Artist in una presa in giro colossale del Wiseau artista e nemmeno cerca di interrogarsi sul passato del personaggio (la data e il luogo di nascita di Wiseau rimangono ancora oggi dei misteri impenetrabili). Quello di Franco è un film sui rapporti umani (e in particolare sull’amicizia fra Wiseau e Sestero) e sulla capacità del cinema di diventare medium sociale, attrarre emotività, costruire relazioni e affetti, indipendentemente dalla riuscita o no del prodotto finale. Abbattendo a colpi di piccone i miti dell’autorialità e dell’artificiosità di Hollywood, Franco riscopre il set cinematografico di The Room come riflesso vitale, tanto scardinato nelle convenzioni quanto profondamente puro, incontaminato, familiare. Un vero e proprio affresco “camp”, in cui la grottesca amatorialità raccontata da Franco riesce a travalicare ogni tassonomia diventando forse la miglior risposta a tutti i tentativi di spiegare il fenomeno cult che nel tempo si è sviluppato intorno al film. Senso o non-senso, bello o brutto, drammatico o comico diventano categorie estetiche inutili e inservibili per descrivere The Room: James Franco questo sembra averlo capito e il suo The Disaster Artist non è solo una commedia straripante e spassosa ma anche un omaggio a un cinema che – più che indipendente – si può definire “inconsapevole”.
JAMES FRANCO È WISEAU PIÙ DI WISEAU
In tutto ciò l’interpretazione di Wiseau offerta da Franco è forse la migliore della sua carriera dai tempi di 127 Ore. Nei tic, nell’accento carpatico, nelle gestualità (perfino nell’occhio destro calante) James Franco è quasi più Wiseau di Wiseau stesso, senza mai sfiorarne la parodia, senza mai scimmiottarlo nemmeno per un istante.
Ma se Franco è Wiseau nel corpo, lo è anche nella psicologia, rivelando gli aspetti più surreali e indecifrabili del personaggio: le megalomanie, le paranoie, le ossessioni. La bravura del protagonista sta anche nel riuscire magnificamente nella difficile impresa di ritrarre i vani sforzi di recitazione di un Wiseau totalmente privo di talento, in una sorta di gioco al ribasso imprevedibile e disorientante. Anche il resto il cast è brillantissimo: da Dave Franco a Seth Rogen (il segretario di edizione sul set), passando per dei camei piacevolissimi che vedono, fra gli altri, Sharon Stone nel ruolo della talent agent di Sestero, Melanie Griffith nel ruolo di una direttrice di casting, Judd Apatow nel ruolo di un produttore e Bryan Cranston nel ruolo di sé stesso (ai tempi di Malcolm in the Middle).
In conclusione The Disaster Artist finirà, ne siamo certi, per collocarsi nell’olimpo dei film dell’anno. Fra cinema e vita, successo e catastrofe, autorialità e amatorialità il biopic di Franco riesce a divertire e nello stesso tempo a farci riflettere su quanto il lavoro di Thomas Wiseau rappresenti qualcosa di terribilmente lontano e – allo stesso tempo – vicino a noi stessi. Come ha scritto il critico Tom Bissell parlando della proiezione di The Room durante la sua Premiere a Los Angeles, “ridevamo perché non eravamo lui ma anche perché lo eravamo”.