Ricorda, ricorda! Il cinque novembre, polvere da sparo, tradimento e complotto. Non vedo alcuna ragione per cui la Congiura delle Polveri dovrebbe mai essere dimenticata!
Londra, 1605. Il re è Giacomo I, colui che ha unificato le corone di Inghilterra, Scozia e Irlanda. Il sovrano non riesce però ad unire il territorio sotto un’unica fede, anzi: durante il suo regno (ma già da diversi anni), i cattolici vengono perseguitati, torturati, esposti alla pubblica gogna e giustiziati sotto gli occhi del popolo. In nome di tale mancanza di libertà (e giustizia), un manipolo di inglesi decide di ribellarsi. Alla storia è passato il nome di uno dei cospiratori, Guy Fawkes, di cui si sa molto poco ma che nella cultura popolare è sempre stato messo dalla parte dei cattivi. D’altro canto, come si può parteggiare per uno che vuole far saltare in aria il Parlamento?
Quella della Congiura delle Polveri, Gunpowder Plot in inglese, è una pagina di storia che gli inglesi studiano a scuola: i versi riportati sopra appartengono ad una filastrocca popolare che – forse – anche noi italiani qualche volta abbiamo sentito, se non altro perché sono citati in apertura di V per Vendetta, il lungometraggio del 2005 che si ispira (oltre all’omonimo fumetto) proprio alle gesta di Guy Fawkes, la cui maschera ha dato il volto al gruppo hacker di Anonymous.
Insomma, un sacco di carne al fuoco e una grossa sfida per Ronan Bennett, Daniel West e Kit Harington (quel Kit Harington), ideatori della miniserie in tre puntate Gunpowder andata in onda sul canale britannico BBC One. Alla responsabilità storica e metaforica della Congiura delle Polveri si aggiunge, per il caro Kit “Jon Snow” Harington, quella della discendenza: Kit infatti interpreta il ruolo di Robert Catesby, un personaggio storico che, tra le altre cose, è anche un antenato dell’attore.
Robert Catesby non è un Jon Snow del XVII secolo: agisce nell’ombra, il suo animo non gli impedisce di mentire, è un padre che fatica a dimostrare affetto al proprio figlio e vuol far saltare in aria il Parlamento senza prendere minimamente in considerazione i danni collaterali, anche se è normale riconoscere nel protagonista di Gunpowder alcuni tratti del Re del Nord, considerando la natura della miniserie (rispetto a Game Of Thrones non ci sono grandi cambiamenti nei costumi o nel trucco). Ma non c’è solo Kit. Nello show BBC vediamo sullo schermo anche una versione grottesca di Mark Gatiss (il Mycroft di Sherlock) nel ruolo di Sir Robert Cecil, politico calcolatore che si fa portavoce della lotta contro i cattolici in una seicentesca “caccia alle streghe”. Liv Tyler, nonostante il tempo sia inesorabilmente passato rispetto a quando nei panni di Arwen (Il Signore degli Anelli) giurava eterna fedeltà ad Aragorn, resta sempre una donna dai lineamenti ipnotici ma la parte che interpreta (la cugina del protagonista, Anne Vaux) non le rende abbastanza giustizia. I minuti che ha a disposizione sono pochi, lo sguardo quasi sempre basso, Anne non ha davvero voce in capitolo anche se, nel corso della seconda puntata, la donna remissiva e silenziosa tira fuori dal cilindro un momento pieno di carattere. Da segnalare anche Shaun Dooley, che interpreta egregiamente uno spaventoso e spregevole Sir William Wade, braccio destro armato di Cecil, spietato e sanguinario, con un solo obiettivo: spazzare via i cattolici dal regno.
Nel mare di serie e miniserie che BBC trasmette in patria Gunpowder si discosta dalla massa, e non poco. Pensiamo a prodotti come Sherlock, Doctor Who oppure Call the Midwife (in Italia L’amore e la vita): sono racconti da prima serata che, se escludiamo gli spettatori dalla sensibilità particolarmente accentuata, non dovrebbero causare incubi. È necessario a questo punto fare un piccolo spoiler: il pilot di Gunpowder, a pochi minuti dall’inizio, contiene una scena molto violenta, di quelle da distogliere lo sguardo dallo schermo. Niente male per uno show andato in onda alle nove di sera sulla televisione pubblica (in effetti non sono mancate le critiche di una buona parte del pubblico inglese). Il cinque novembre è una data che in Inghilterra viene commemorata ogni anno: si fanno dei falò e si bruciano dei fantocci che rappresentano i cospiratori. Mentre però le ricorrenze del calendario britannico tendono a stare dalla parte dei sovrani, la vera novità di Gunpowder, nonché la sua grande ambizione, è quella di stare dalla parte dei ribelli.
Forse proprio considerando questo cambiamento del punto di vista possiamo giustificare la presenza di scene tanto brutali. Non si può stare dalla parte di chi vuol far saltare in aria il Parlamento a meno che il Parlamento stesso non autorizzi la morte per schiacciamento, la decapitazione, la mutilazione e una serie di altre pene terribili che non stiamo a elencare (ma che vediamo sullo schermo). Gli autori hanno dichiarato di essersi concentrati sulla veridicità del racconto, dato che vivere nel 1600 era chiaramente difficile, con le esecuzioni in piazza all’ordine del giorno.
Viene quindi da chiederci su cosa vogliano veramente focalizzare la propria attenzione gli autori di Gunpowder. Ai fini della trama, c’era davvero la necessità di rappresentare delle scene tanto esplicite? Anche The Handmaid’s Tale (per citare uno show recente) mostra la ferocia dell’animo umano attraverso una violenza fisica e psicologica che disturba ma, per la storia che racconta, è necessario far vedere al pubblico sequenze forti per sensibilizzarlo maggiormente.
Dal punto di vista estetico questo dramma in costume è confezionato in maniera impeccabile, i dialoghi sono ben scritti e in alcuni momenti gli sceneggiatori riescono a creare la giusta tensione. Il dubbio che si potesse fare meglio c’è, soprattutto perché il rischio maggiore è quello, a distanza di qualche tempo, di ricordare solo la brutalità di alcune immagini. Gunpowder aveva le carte in regola per essere un racconto di coraggio e ribellione ma sovvertire il punto di vista e far diventare eroi quelli che per tutti sono i cospiratori non è un’operazione semplice.