Amy Cole (Kristen Stewart) si è appena arruolata nell’esercito americano, decisa a lasciare il segno e spendere le sue energie in qualcosa che pensa valga davvero la pena. Al suo primo incarico viene mandata al campo di detenzione di Guantanamo, dove farà da guardia a prigionieri sospettati di appartenere a cellule terroristiche collegata ad Al-Qaeda. Ma proprio qui, tra diritti umani calpestati e l’ostilità dei colleghi uomini, Amy farà amicizia con il detenuto Alì (il Payman Moaadi di Una Separazione), arrestato in Germania senza un chiaro motivo, appassionato di sudoku e di Harry Potter: un incontro culturale che sfocerà poi in una sincera e intima amicizia e che porterà la soldatessa a ripensare al suo ruolo umano all’interno di una microsocietà che si autodefinisce “protettrice della libertà”
Premiato al Sundance Film Festival nel 2014, Camp X-Ray è il primo lungometraggio scritto e diretto da Peter Sattler, che certamente non ha paura di affacciarsi al cinema con visioni intimiste e sentimenti forti. Sia la regia che la sceneggiatura, infatti, si pongono estremamente vicini allo spettatore in modo da inserirlo perfettamente all’interno della vicenda e favorire così un’empatia non solo con la protagonista femminile, ma anche con la sua controparte maschile. Il film dopotutto si svolge quasi interamente all’interno del campo di prigionia, di cui vediamo solo tre ambienti: le docce esterne, la mensa e le stanze dei detenuti, mentre i dialoghi sono per tre quarti portati avanti dai due protagonisti principali.
Sattler compensa questo spazio scenico ristretto con riprese che cercano di scandagliare un universo semmai molto più complesso e infinito: il rapporto umano, che supera la cultura, la differenza sociale, il sesso, è senza ombra di dubbio l’elemento che il regista ha cercato di portare alla luce tramite Camp X-Ray. Amy ed Alì sono entrambi due sani portatori di buoni principi: l’istruzione, l’apertura mentale, la giustizia, i diritti umani. Ma entrambi sono rifiutati non solo dalla loro società, ma da un mondo che non riconosce più, se mai c’è stato, quella linea rossa che divide il bene e il male: così il plotone di cui fa parte Amy la mette all’angolo quando lei denuncia una violazione delle procedure da parte di un suo collega, il quale, tra l’altro, era stato rifiutato dopo un approccio fin troppo carnale.
Alì, invece è uno studioso, un laureato, vittima di una politica che lo vuole a tutti i costi prigioniero innocente e di uno stereotipo che relega i musulmani a violenti nemici della cultura occidentale. Eppure il loro rapporto nasce proprio quando Alì chiede ad Amy se nella raccolta di libri messi a disposizione dei prigionieri, fosse disponibile l’ultimo capitolo della saga di Harry Potter, perché non riesce più ad aspettare di sapere se il personaggio di Piton è buono o è cattivo. Non solo allora uno dei più grandi simboli della cultura occidentale degli ultimi venti anni, ma soprattutto una primissima anticipazione di quello che Amy sarà costretta a fare durante la sua permanenza a Guantanamo.
Nello stesso modo, il regista cerca di essere neutrale per il bene del giudizio dello spettatore, mostrando i lati peggiori di entrambe le fazioni: da una parte l’esercito americano che, nonostante la proposta di chiusura da parte di Obama nel 2008 (e la successiva decisione del Senato di rifiutare la stessa), gestisce questi campi i cui metodi di detenzione poco si curano degli elementari diritti umani; dall’altra gli estremisti islamici, che allo stesso modo degli americani, peccano di razzismo e misoginia quando rifiutano anche solo la vista di una soldatessa e addirittura richiedono che siano depennate dai giornali tutte le eventuali foto che ritraggono una donna.
Tra questi due fuochi nasce l’intesa tra soldato e detenuto, successivamente l’empatia tra due esclusi, e infine l’amicizia tra due esseri umani. Un piccolo spazio e un piccolo film per raccontare invece il grande problema di un’umanità che non sa più riconoscere se stessa. Grandi interpreti di questa storia sono i due attori principali. Quella di Peyman Moaadi è un’ottima interpretazione, toccante e naturale tanto da far evitare al film uno scivolone nel melodramma razziale, ma sicuramente ad essere sotto esame è Kristen Stewart, attrice che ha esordito giovanissima, nota al grande pubblico per essere stata la Bella dello young adult Twilight, ancora acerba nonostante la sua già corposa filmografia, ma che qui dimostra – come già fatto in pellicole come Sils Maria e Personal Shopper, entrambe di Olivier Assayas – di avere carattere e di esser ben disposta nei confronti di una direzione che possa non farla scivolare nei vezzi espressivi.
Camp X-Ray non ha avuto una release cinematografica ma è stato distribuito direttamente in blu-ray e DVD da CG Entertainment. Un’ottima occasione anche solo per recuperare l’ottima performance della Stewart.