La piena affermazione di un’identità femminile, viva perché in grado di raccontarsi, non può separarsi dalla concezione della donna come personalità completa, indipendente dalla figura maschile. In quest’ottica la poetica dell’autrice Rosario Castellanos, incentrata sulla propria interiorità, si collega necessariamente alle lotte per l’emancipazione. Presentato alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, Los Adioses, diretto dalla regista Natalia Beristáin e prodotto da Rafa Ley, María José Córdova e Gerardo Morán, mette in scena la dicotomia apparentemente indissolubile madre/lavoratrice. Los Adioses è ambientato negli anni ’60 e narra la straordinaria biografia di una delle più grandi scrittrici messicane del XX secolo.
La pellicola inizia in medias res, quando Rosario Castellanos (Karina Gidi) e Ricardo Guerra (Daniel Giménez Cacho) sono già adulti: il loro primo incontro e la loro storia d’amore giovanile verranno raccontati successivamente. La coppia si incontra di nuovo dopo molto tempo ma i sentimenti di entrambi non sono cambiati: la loro storia d’amore riprende dal punto in cui era stata interrotta. Il lungometraggio è costruito alternando scene passate e presenti, che si accavallano grazie alla fluidità del montaggio e che, simbolicamente, rappresentano l’armonia della coppia. Quando viene meno l’equilibrio con cui passato e presente si integrano (grazie ad una soluzione visiva efficace), la coppia cessa di esistere e la struttura ad anello su cui il film si poggia alla fine viene spezzata. Con l’avanzare del tempo il loro rapporto inizia infatti a presentare delle crepe: emerge in Rosario la sua fragilità di donna e in Guerra l’insofferenza per gli atteggiamenti della moglie, lontani dagli schemi classici. Alla fine, tuttavia, non è tanto la Castellanos a cedere all’impossibilità di dividersi tra i suoi tanti ruoli quanto piuttosto la società maschilista, impersonata dal suo direttore e da suo marito, che le impedisce di poterli conciliare, non essendo pronta alla sua indipendenza. La concretizzazione dei due concetti, madre e lavoratrice, ha bisogno infatti di un preventivo cambiamento del substrato culturale per affermarsi.
L’opera si sbilancia leggermente sul lato sentimentale, personale e familiare della vita di Rosario; il suo lavoro e la sua scrittura vengono infatti rappresentati in secondo piano rispetto alla storia con Ricardo. Questa scelta può essere comprensibile, considerando che la poetica della scrittrice racconta la sua interiorità che è necessariamente collegata alla vita privata. Tuttavia l’attività di professoressa universitaria, punto focale della discussione che segnerà la rottura con il marito, ci viene mostrata solo superficialmente. Una scelta a metà tra la predilezione per una vena romantica e la volontà di mostrare la battaglia di genere che avviene, prima ancora che per le strade, dentro le case e dentro le donne. All’affermazione secondo cui una donna, per essere completa, non deve obbligatoriamente essere moglie e madre si contrappone infatti la profonda sofferenza che Rosario stessa prova quando il figlio e il marito si allontanano, i quali si sentono accantonati a causa della scrittura e delle battaglie ideologiche.
La pellicola trasmette in modo semplice e diretto il rapporto che Rosario aveva con la scrittura: grazie a questa infatti la donna comunica con il mondo. Ai silenzi e agli sguardi vuoti, con cui Karima Gidi riesce a trasmettere l’irraggiungibilità del mondo interiore della scrittrice (tanto che riusciamo quasi a sentire il flusso dei suoi pensieri), si accompagna il rumore della macchina da scrivere, attraverso cui il suo stato d’animo si mostra (con il frastuono dei tasti lei stessa tenta di attirare, in un momento di disperazione, l’attenzione del marito, quasi come se il dolore non trovasse altro modo per presentarsi). Le parole delle poesie e dei racconti poi ci guidano lungo tutto il film, spargendosi delicate come petali; le opere della Castellanos emergono in modo così integrato e spontaneo che, se non fossero presenti, ne sentiremmo la mancanza. Infine non si può non sottolineare la cura formale di questo prodotto audiovisivo: una fotografia artistica che riesce ad esprimersi nella composizione equilibrata e aggraziata dell’immagine, con la patina di beige che, avvolgendo l’intero film, rimanda a livello inconscio al colore della carta.