Se da un lato Netflix ha scelto negli ultimi anni di rappresentare gli eroi targati Marvel con uno stile più crudo e realistico, regalando una boccata d’aria fresca all’interno del panorama televisivo e supereroistico, dall’altro è innegabile come questa soluzione possa essere un’arma a doppio taglio. Il Punitore non è esattamente un personaggio facile da rappresentare: lo dimostra il fatto che, con tre lungometraggi stand-alone a partire dalla fine degli anni ’80 fino al 2008, l’antieroe Marvel abbia dovuto aspettare il 2016, grazie al suo ingresso nella seconda stagione di Daredevil, per comparire in una grande produzione in grado di trasporlo al meglio. Nel poco spazio a disposizione, il personaggio di Frank Castle è riuscito a stupire e catturare il pubblico con la sua violenza e la sua moralità ambigua, lasciando un’impronta indelebile in uno show che non ha espresso in quell’occasione tutto il suo potenziale.
Dato il suo carisma, non sorprende che quell’apparizione di The Punisher abbia messo d’accordo i fan di tutto il mondo e, proprio per questo motivo, dopo pochissimo tempo la piattaforma di streaming di Los Gatos ha annunciato una serie interamente dedicata al giustiziere interpretato da Jon Bernthal. Tuttavia, se alla prima apparizione il limitato screen time permetteva uno sviluppo del personaggio senza contaminazioni, un’intera stagione di The Punisher minacciava la purezza alla base della sua caratterizzazione e, considerando le premesse, il rischio era più che reale.
JON BERNTHAL SI CONFERMA L’ANTIEROE PERFETTO
Dopo aver eliminato gli ultimi gangster coinvolti nella morte della sua famiglia, Frank Castle (Jon Bernthal) inscena la sua morte e comincia una nuova vita come muratore sotto il nome di Pete Castiglione. Sebbene ancora tormentato dai fantasmi del suo passato e relegato ai margini della società, Frank cerca di mantenere un profilo basso evitando qualunque tipo di scontro e frequentando un circolo di recupero per ex militari vittima di stress post traumatico. Tuttavia una serie di eventi lo porteranno a riprendere le armi per punire i criminali, svelando nuove verità sul suo conto.
Nonostante un grande Jon Bernthal, un ottimo cast di supporto (in particolare una magnifica Deborah Ann Woll nel ruolo di Karen Page) ed una rappresentazione non edulcorata della violenza, il linguaggio registico, lo script e il tono di The Punisher mostrano qualche incertezza nel passaggio dalla lunga fase introduttiva allo sviluppo più convenzionale della trama (segnato dall’inizio della collaborazione col suo iniziale ‘antagonista’)
DIVERSI APPROCCI PER UN RISULTATO FIN TROPPO SFUMATO
Soprattutto i primi due episodi diretti da Tom Shankland ci restituiscono un racconto più intimista del previsto, in cui non manca una crudezza di fondo ma che innalzano da subito la posta emotiva del franchise ritraendo un protagonista tormentato dai propri fantasmi. Se lo spettatore si abitua rapidamente a un cambio di tono che risulta comunque interessante e decisamente inusuale per i canoni del genere, la repentina virata dei successivi episodi fa sì che il percorso inizialmente intrapreso rimanga un episodio isolato i cui codici narrativi non verranno poi opportunamente integrati nel resto della stagione, che tornerà sul più sicuro binario tipico delle serie eroistiche di Netflix.
Se nelle puntate successive la regia esperta di Andy Goddard (e degli altri registi che si sono alternati dietro la macchina da presa) hanno il merito di garantire ai fan del fumetto tutta la violenza esplicita che si aspettavano e che caratterizza l’antieroe, rimane il fatto che per raggiungere il traguardo dei 13 episodi da 50 minuti l’uno (lo standard tipico delle serie Marvel targate Netflix) la serie debba troppo spesso ricorrere a filler che anziché arricchire l’universo narrativo lo depotenziano, finendo addirittura per distorcere alcuni degli elementi psicologici che dovrebbero caratterizzare un protagonista vendicativo, impulsivo e solitario.
L’ESSENZA CRUDA E DIRETTA DEL PUNITORE DEI FUMETTI
Ormai è convinzione comune che la scrittura televisiva moderna, per dare consistenza ad un personaggio, debba creare una backstory molto articolata, ricca di intrighi e personaggi secondari (si deve pur sempre avere materiale per allungare il brodo per più stagioni… ), ma non sempre si tratta della scelta migliore, giacché alcune figure dell’immaginario fumettistico traggono la loro forza da una semplicità quasi archetipica, pura e cruda. Il rappresentante per eccellenza di questa categoria è proprio Il Punitore, lo spietato antieroe per eccellenza dell’universo Marvel.
La morte della famiglia di Frank Castle nei fumetti è drammatica e spaventosa perché si tratta di un evento che potrebbe accadere a chiunque: un incidente coperto da un governo oligarchico (quasi invisibile) è un incubo reale, figlio dell’era Watergate (periodo in cui è nato il fumetto), mentre il suo alter ego The Punisher affascina per il suo bisogno di vendetta verso tutti i criminali che il mondo non punisce, facendosi giustizia da solo per impedire che i crimini efferati rimangano impuniti.
Il Frank Castle di Netflix invece è un uomo alla ricerca di vendetta personale, la cui famiglia è stata colpita, come già i primi trailer ci avevano mostrato, non in maniera fortuita, distruggendo quindi le caratteristiche centrali del suo personaggio e trasformandolo in una sorta di Bryan Mills della serie Taken. Se è vero che ogni buon adattamento deve potersi prendere delle libertà dall’opera originale (anche perché il fumetto e la televisione hanno regole e linguaggi differenti), c’è anche da dire che le licenze creative dovrebbero essere utili in funzione di una storyline più efficace, cosa che però non avviene in questo nuovo Punitore.
Nonostante i difetti, The Punisher rimane comunque un prodotto di qualità capace di intrattenere e di restare fedele alla violenza tipica dell’originale, anche sfociando in un messaggio a tratti ipermilitarista e che pare non avere sufficienti considerazioni da offrire sulla piaga sociale della diffusioni di armi da fuoco in America – e, anzi, agendo a volte quasi come house organ della NRA. Una scelta non buonista ma sicuramente coraggiosa nella sua fedeltà al materiale d’origine. Il carisma di questo Frank Castle di Netflix è comunque la sua arma più forte, e non rimane che attendere con grande interesse la seconda stagione dello spin-off, già confermata da Los Gatos.