Uno degli episodi più attesi della nuova stagione di Black Mirror era sicuramente ArkAngel: dopo il rilascio del trailer da parte di Netflix c’era grande curiosità attorno allo script dello showrunner Charlie Brooker, basato su un argomento molto delicato come quello del rapporto genitore/figlio nell’epoca di Internet, dei tablet e degli smartphone. Altro elemento di interesse della puntata era Jodie Foster, l’attrice premio Oscar che si è reinventata negli ultimi anni regista di talento per la televisione (ha lavorato dietro la macchina da presa anche in show importanti come House of Cards e Orange Is The New Black); dirigere un episodio di Black Mirror però comporta maggiori responsabilità. La Foster è riuscita a superare l’impegnativo test? Decisamente sì. Ma andiamo con ordine.
L’ATTACCAMENTO MORBOSO DI UNA MADRE
Marie (Rosemarie DeWitt) è una madre single che affronta un parto molto difficoltoso e, per questo motivo, è legata alla figlia Sara in maniera talmente morbosa da farle impiantare nel cervello un microchip che si collega ad una applicazione chiamata ArkAngel. Questa nuova tecnologia permette non solo a Marie di localizzare Sara ovunque lei si trovi ma addirittura di controllare quello che la bambina vede e sente, condizionandone inevitabilmente la crescita. Ovviamente Sara, per via del costante controllo esercitato dalla genitrice iperprotettiva, finirà per sviluppare disfunzioni psicologiche e relazionali, tali da costringere Marie – su consiglio di un terapeuta – a fare un passo indietro. Quando però la ragazza, ormai adolescente, inizierà a rivendicare la propria indipendenza, la madre non resisterà alla tentazione di tornare a usare il dispositivo.
QUANDO L’AUGMENTED BODY VIENE IMPOSTO
Non scopriamo certo oggi l’esistenza di app che permettono ai genitori di localizzare, grazie al GPS, la posizione dei propri figli o controllare le loro attività con lo smartphone: Charlie Brooker, con il suo inconfondibile stile, estremizza la questione per porre agli spettatori riflessioni etico-morali di grande attualità, estendendola alle tematiche sempre meno fantascientifiche della realtà aumentata (sovvertendone le regole) e delle HET (human enhancement technologies). Fino a dove può spingersi un genitore per proteggere ed educare un figlio? Quali sono i limiti giuridici, etici e anagrafici che deve darsi l’utilizzo della tecnologia nel monitoraggio di un bambino?
ArkAngel, pur non essendo uno dei migliori episodi di Black Mirror, è un mediometraggio che ha i suoi punti di forza nelle interpretazioni del cast (bravissime Rosemarie DeWitt e Brenna Harding, l’attrice che interpreta la Sara adolescente) e, soprattutto, nella messa in scena di Jodie Foster. La regista, in grado di alternare con maestria inquadrature fisse e camera a mano, gira ArkAngel come se fosse un film indipendente in stile Sundance (non sfigurerebbe di certo se fosse presentato in un importante festival cinematografico). Degno di menzione il meraviglioso montaggio di Jinx Godfrey (La Teoria del Tutto), che permette con grande eleganza di saltare in avanti negli anni durante lo spazio limitato a disposizione dell’episodio.
Se il soggetto della puntata è straordinario, meno convincente è lo sviluppo narrativo proposto da Brooker: dopo tre stagioni di Black Mirror, lo showrunner ha creato un metodo di scrittura che ha fatto scuola ma, allo stesso tempo, è diventato meno sorprendente. Proprio per questo ArkAngel non riesce mai a stupire veramente, perché gli eventi che si susseguono sono facilmente prevedibili e il finale, malgrado non dia indicazioni precise sulla sorte dei personaggi, non presenta la stessa spietata cupezza che da sempre contraddistingue la serie.
ArkAngel non rappresenta il punto più alto nella storia dello show ma, considerato quanto per Brooker sia difficile continuare a trattare tematiche analoghe senza ripetersi, lo showrunner riesce comunque a fare centro, ricordandoci ancora una volta le insidie comportate dalla presenza sempre più normalizzata e preponderante della tecnologia nelle nostre interazioni sociali.